Il comunicato di Magistratura Indipendente contro la separazione delle carriere e quella lezione troppo presto dimenticata di Giovanni Falcone. Per Alberto Pezzini si tratta di professionisti, ma dell´antidiritto. Uno scritto, in questo nuovo appuntamento con la sua rubrica domenicale sul nostro portale, da non perdere per nessuna ragione.
Magistratura Indipendente ha emesso un comunicato contro l´iniziativa assunta dall´Unione delle Camere Penali Italiane (una proposta di legge costituzionale ad iniziativa popolare sulla separazione delle carriere tra PM e Giudicanti).
Mi sono ritrovato a studiare il problema.
Per non commettere errori che un avvocato difensore – essendo parte del processo penale – non deve commettere.
Purtroppo ho reperito alcune fonti che mi hanno lasciato sconvolto.
La prima è il libro che Giovanni Bianconi ha scritto su Giovanni Falcone, L´assedio (Einaudi).
La seconda è la Relazione sul ruolo della Magistratura nella lotta alla Mafia scritta da Giovanni Falcone il 12 maggio del 1990, e l´ultima è il celeberrimo articolo scritto da Leonardo Sciascia per il Corriere della Sera del 10 gennaio 1987 intitolato I Professionisti dell´Antimafia.
I Giudici di Magistratura Indipendente sostengono all´interno del loro comunicato che separare le carriere equivarrebbe ad infliggere un vulnus all´Ordinamento Giudiziario.
Questa cosa, queste parole mi stupiscono, mi sconvolgono e mi indignano.
Vi spiego il perchè.
Se leggerete la Relazione di Falcone all´Università di Catania tenuta il 12 maggio 1990, capirete che il PM veniva considerato dal magistrato ucciso a Capaci come il vero motore del processo accusatorio.
In un processo di questa natura il PM deve essere un´autentica parte e non più un para – giudice: "In un processo autenticamente accusatorio, il P.M. deve essere collocato nel ruolo di parte senza ibridismi di sorta, e proprio questa sua connotazione lo pone nelle condizioni migliori per compiere, efficacemente e in tutta riservatezza, le sue indagini, anche le più complesse".
Il PM – all´interno del Codice Vassalli – era divenuto finalmente un investigatore posto a capo della Polizia Giudiziaria.
Falcone non ha mai denunciato l´inadeguatezza del nuovo codice di procedura penale. Ha sempre detto tuttavia che non adeguare il codice di rito all´ordinamento giudiziarioavrebbe influito negativamente sui processi di mafia e in generale sull´efficienza di tutti gli altri processi: "Il vero nodo che richiede una rapida ed accorta soluzione è quella del raccordo del nuovo codice con l´ordinamento preesistente".
E´ sconvolgente leggere che già nel 1990 Falcone dicesse che non esistevano tabù. Come l´obbligatorietà dell´azione penale. Non si può parlare di tabù, scriveva.
Se il PM non viene messo in grado di esercitare pienamente il suo ruolo in tutta la sua dinamicità, siamo destinati ad una sconfitta quotidiana.
Tutti i giorni noi avvocati difendiamo i nostri clienti all´interno di un processo accusatorio in cui il PM – che dovrebbe essere dotato di una nuova identità e di una diversa attrezzatura mentale – è e resta un giudice sui generis e sotto mentite spoglie.
Il vulnus peggiore non è inferto a noi che difendiamo contro un PM che non ha mai reciso il cordone ombelicale con chi deve giudicare, ma soprattutto alle istituzioni.
Conservare la indistinguibilità delle carriere significa condannare il processo penale.
Soltanto nei paesi totalitari il potere di chi può arrestarti è svincolato dal potere esecutivo:se Giudici e PM si confondono, di chi sarà il controllo?
La cosa più amara resta un´altra.
Scusate,scusate se uso ancora le parole di Giovanni Falcone che prima di tutti aveva compreso il ruolo del PM e l´assoluta necessità di distinguerlo dai Giudici:"Non si può invocare a gran voce un processo accusatorio e non accettare che ciò comporta trasformazioni di vasta portata nelle strutture stesse dell´Ordinamento Giudiziario e, soprattutto, nell´organizzazione dell´ufficio del P.M., vera chiave di volta per il funzionamento del nuovo processo...Un PM deve rispondere a criteri di efficienza e di professionalità che sono nettamente diversi da quelli del giudice terzo ed imparziale;e mi stupisce che una verità così elementare fatichi a farsi strada nella cultura del nostro Paese...".
Sciascia scrisse l´articolo contro Paolo Borsellino perchè – si dice – qualcuno male lo informò e gli fece dire, con il suo stile fatto di pietre e barocchismi sapientemente intagliati nella sua stratificata cultura storica, che in Sicilia, per far carriera nella magistratura, bisognasse prendere parte ai processi di stampo mafioso.
Sbagliò.
Come sbagliarono tutti coloro che impedirono a Falcone di creare quella Superprocura che avrebbe salvato anche il nostro codice.
Quanta amarezza pensare che da quelle parole di Falcone pronunciate nel 1990 siano trascorsi 27 anni senza che nulla sia cambiato.
Sembra che nessuno di noi lo abbia ascoltato.
Chi ha paura muore ogni giorno.
Fino a quando le carriere non verranno separate, continueremo a morire tutti ma – ciò che mi fa più inorridire - a non onorare la lezione di chi ha pagato con lo strazio della vita l´arretratezza culturale di un sistema che nonostante tutto gli uomini non vogliono modificare.