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Quando una laurea con la lode non conta nulla. Lettera al Corsera di un giovane avvocato: " costretto dal mio paese ad andare via"

Il suo nome è Tony Sofo. Un nome reale, non certo di fantasia, ed una lettera accorata al Corriere della Sera (che l´ha pubblicata oggi) per rappresentare una situazione ai limiti dell´ insostenibile, ma comune a migliaia e più di giovani professionisti.
"Ho 30 anni e mi sono laureato in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma col massimo dei voti in 5 anni, poi esperienze a Roma e Milano in studi che mi sfruttavano sottopagandomi, adesso sono costretto a tornarmene a casa, al Sud".



Una lettera, l´ennesima, che dimostra ancora una volta che l´Italia non è un paese che ama i propri giovani.

E che in questo nostro strano paese è spesso del tutto inutile un corso brillante di studi, così come una intelligenza viva, una passione per la professione e una propensione al sacrificio. Ciò che conta è altro, e lo dice bene Tony: contano le amicizie, l´essere figlio di qualcuno.

Vale solo per gli avvocati? Certamente no. Vale per gli avvocati ma anche per molti altri liberi professionisti ed operai qualificati. Giovani che dopo un brillante corso di studi hanno conseguito una abilitazione dello Stato, ma anche tante persone che, meno giovani, un lavoro l´hanno perso trovandosi a 40, 50 e più anni in una situazione di totale marginalità, a fronte della quale i sostegni dello Stato sono del tutto inesistenti. In tutti i casi, energie preziose, che di un paese possono fare la fortuna ma che qui da noi sono costrette alla fuga. Perché l´Italia è si madre, ma quando si parla di giovani e di lavoro soprattutto matrigna.



Certo, non è una regola assoluta e ci sono delle eccezioni. Ma, nella stragrande parte dei casi, si tratta di eccezioni che confermano la regola. Se non hai tutto questo, se non disponi di amicizie, supporti, raccomandazioni, non vai da nessuna parte. In barba ad ogni principio meritocratico. Che, d´altra parte, da noi non è mai esistito, e nella avvocatura italiana men che mai. Altrimenti, si sarebbe incominciato a cambiar qualcosa, modificando ad esempio l´attuale esame di abilitazione alla professione forense, che per come è congegnato, è una lotteria più che una cosa seria. E quando un paese affida, consapevolmente, al caso l´esercizio di una delle professioni liberali più importanti, quella di Cicerone per intenderci, quella che ha a che fare con la libertà di una persona e i suoi diritti, siamo veramente arrivati al limite, abbiamo toccato il fondo.



Ma non è il tempo per piangere, e nemmeno per autocommiserarsi. È, invece, il tempo per dire basta. Il paese, e con esso i giovani, non hanno bisogno di palliativi e di pannicelli caldi, quelli che per decenni hanno fatto la fortuna di classi politiche autoreferenziali e spesso irresponsabili. Occorrono riforme, occorre investire sulla ricerca, sulla formazione e sulle professioni. Occorre che, facendosi questo, non si guardi in faccia nessuno. Perché, diciamolo a chiare lettere, il mondo delle professioni, compreso quello forense, è anche un mondo dominato da interessi particolaristici e corporativi, i qualifin qui hanno sempre impedito qualsiasi riforma degna di questo nome, preferendo lucrare ingenti risorse sfruttando le diseguaglianze e i bisogni come anche le zone d´ombra del sistema.

Auguri di una buona vita Tony. Che tu non sia l´ennesimo cervello del quale il nostro paese sia costretto a privarsi!
Piero Gurrieri

 

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