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Procedimento disciplinare: quando l'avvocato può chiedere la remissione in termini?

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 Fonti: https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Inquadramento normativo: Art. 153 cpc

L'istituto della remissione in termini consente alla parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa a lei non imputabile di chiedere al giudice di essere rimessa in termini (art.153 co. 2).

Presupposti. Ai fini della richiesta di rimessione in termini occorre la sussistenza di una causa di forza maggiore o caso fortuito, "giacché il concetto di non imputabilità deve presentare il carattere dell'assolutezza, non essendo sufficiente la prova di una impossibilità relativa, quale potrebbe essere la semplice difficoltà dell'adempimento o il ricorrere di un equivoco, evitabile con l'ordinaria diligenza anche in ossequio ai doveri di diligenza e competenza imposti all'avvocato dai principi generali del CDF" (Consiglio Nazionale Forense sentenza n.43 del 12 giugno 2019 e sentenza n.97 dell'8 ottobre 2019). Tra l'altro il Consiglio ha precisato che l'onere della prova della sussistenza dei suddetti presupposti incombe sull'istante, non essendo sufficiente una mera allegazione difensiva del tutto priva di alcun riscontro probatorio.

Casistica. Il Consiglio ha avuto modo di chiarire che non integrano il requisito della non imputabilità assoluta ai fini della rimessione in termini le mere difficoltà tecniche, come ad es. una casella PEC piena o un attacco hacker non comprovato da certificazione tecnica.

Casella PEC piena. In un primo caso sottoposto all'attenzione del Consiglio, un avvocato ha chiesto la rimessione in termini asserendo di non aver ricevuto notizia del procedimento disciplinare a suo carico per problemi di ricezione della posta elettronica ed ha allegato a sostegno delle sue ragioni la copia delle richieste rivolte al gestore del servizio di ampliamento dello spazio disponibile.

 Il Consiglio ha dichiarato l'inammissibilità della richiesta di remissione in termini fondata sugli asseriti problemi alla casella di posta elettronica certificata del ricorrente, per varie ragioni:

  • la tempestività dell'iniziativa della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile è da intendere come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un'attività processuale ormai preclusa, mentre nel caso di specie l'istante ha dapprima errato nella scelta dello strumento in quanto ha chiesto al CDD la riapertura del procedimento disciplinare e solo a distanza di un mese dalla notificazione della decisione disciplinare ha adito il CNF chiedendo il beneficio della rimessione in termini;
  • l'incapienza della casella PEC, dichiarata e certificata dalla ricorrente, non presenta i caratteri di non imputabilità e assolutezza necessari a legittimare il beneficio della rimessione in termini (Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 34 del 7 marzo 2023).

Attacco hacker. Altro caso è relativo alla richiesta di rimessione in termini presentata dall'avvocato in quanto avrebbe subito un'intrusione informatica nel sistema che lo avrebbe privato della possibilità di verificare le PEC e gli avrebbe impedito di conoscere la decisione del CDD emesso nei suoi confronti. Nel corso dell'istruttoria il Consiglio ha accertato che la PEC di trasmissione della decisione disciplinare all'incolpato è stata correttamente trasmessa e consegnata e che nell'allegata documentazione a sostegno della richiesta di rimessione non è stata rilevata alcuna certificazione tecnica che attestasse l'intrusione informatica. Di conseguenza il Consiglio non ha potuto valutare favorevolmente la richiesta di remissione in termini ed ha rigettato il ricorso (Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 147 del 11 luglio 2023).

 Doveri di diligenza e competenza. Il Consiglio ha, altresì, dichiarato l'inammissibilità della "rimessione in termini" fatta pervenire dall'avvocato, che, dopo aver ricevuto a mani proprie la notifica della decisione del COA ha chiesto di essere legittimata ad impugnarla nuovamente ad oltre tre anni dalla notifica in quanto solo recentemente ha avuto contezza della circostanza che ai fini del ricorso al CNF, è necessario avvalersi di un difensore iscritto all'Albo dei Cassazionisti (CNF, sentenza n.97 dell'8 ottobre 2019).

Operatività della rimessione in termini nel procedimento disciplinare. Infine il Consiglio ha avuto modo di ricordare che ricorrendone i presupposti, l'istituto della rimessione in termini può trovare applicazione anche nel procedimento disciplinare secondo la disciplina ordinaria. A questo riguardo il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che, "per costante giurisprudenza di legittimità, la domanda di rimessione in termini non deve essere presentata al Giudice a quo, ma al Giudice ad quem che, ricorrendone i presupposti, può concedere il termine anche per proporre impugnazione" (Cassazione, ordinanza n.8445/2018; Cassazione, SS.UU. sentenza n.21194/2017). Ne discende che nel caso in cui si sia verificata una decadenza a proporre l'impugnazione, la relativa istanza va proposta, a pena di inammissibilità, al giudice competente a decidere il gravame e non a quello che ha pronunciato il provvedimento impugnato (cfr. Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.15 del 23 aprile 2019 che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso presentato dall'avvocato, il quale, asserendo di aver avuto tardivamente conoscenza della notifica della sentenza del CNF per cause a sé non imputabili, ha formulato dinanzi allo stesso CNF anziché dinanzi alla Corte di Cassazione, l'istanza di remissione in termini ex art.153, comma 2, c.p.c. al fine di poter proporre ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza del CNF).

 

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