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Principi di ragionevolezza e proporzionalità

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Negli ultimi decenni il diritto pubblico ha subito radicali mutamenti normativi orientati alla tutela del cittadino rispetto all'esercizio del potere autoritativo dello Stato. Tale potere non è illimitato, infatti, questo deve rispettare delle regole auree costituzionali ed europee, tra le quali spiccano i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell'azione amministrativa.

In particolare, i predetti principi non hanno una portata limitata al diritto amministrativo ma ben più ampia in quanto attraversano trasversalmente numerosi settori del diritto assumendo, di volta in volta, significati differenti. 

Pur essendo ontologicamente differenti, i principi di ragionevolezza e proporzionalità tendono ad essere applicati congiuntamente da parte della giurisprudenza poiché, oltre a rappresentare un limite dell'azione dei pubblici poteri, sono anche un parametro di valutazione della costituzionalità delle leggi e della legittimità degli atti amministrativi.

Sicché al fine di comprendere i punti di contatto e di rottura dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, sarà necessario analizzare il loro fondamento normativo, la ratio e la concreta applicazione da parte della giurisprudenza comunitaria e nazionale.

Il principio di ragionevolezza trova il suo fondamento normativo e pratico nella branca del diritto Costituzionale quale parametro utilizzato dalla Corte Costituzionale per sindacare le scelte del Legislatore. Invero, la Costituzione non enuncia espressamente il principio di ragionevolezza, per tal ragione dagli anni Settanta in poi la Corte Costituzionale ha agganciato la ragionevolezza all'art. 3 Cost. quale sinonimo di uguaglianza sostanziale al fine di limitare le scelte arbitrarie del legislatore nella sua funzione di produzione normativa.

Secondo i giudici di legittimità, la discrezionalità politica del Legislatore è libera ed insindacabile purché essa sia ragionevole, ovvero, che la scelta legislativa sia basata su accurato bilanciamento di interessi in astratto, che non comporti discriminazioni intollerabili fra situazioni similari.

La Corte Costituzionale ha continuato ad utilizzare il principio di ragionevolezza ma con sempre maggiore parsimonia, solamente in quei casi di manifesta sproporzionalità \irragionevolezza di interventi normativi che celavano discriminazioni intollerabili per il nostro ordinamento giuridico; ad esempio, la Corte Costituzionale è intervenuta nel 2017, 2018 e nel 2020 sul c.d. "Jobs Act" dichiarandone la parziale illegittimità poiché la tutela risarcitoria del lavoratore avverso il licenziamento illegittimo risultava essere irragionevole.

In sede di valutazione di legittimità delle leggi la ragionevolezza diventa sinonimo di proporzionalità ovvero congruità "tra il mezzo ed il fine" costituendo l'unico limite invalicabile per il Legislatore. Secondo la giurisprudenza unanime del Consiglio di Stato il canone della ragionevolezza costituisce un limite negativo dell'esercizio del potere discrezionale, desumibile dall'istruttoria e dalla motivazione delle scelte effettuate dalla P.A.

In altri termini, il provvedimento amministrativo risulta ragionevole solo quando la pubblica amministrazione adotti una "soluzione astrattamente legittima" che comporti un bilanciamento degli interessi pubblici e privati. La ragionevolezza allora volge lo sguardo alla "qualità" del potere speso dalla amministrazione al fine di raggiungere l'interesse pubblico generale desumibile dall'istruttoria, quale momento di acquisizione delle circostanze di fatto e di diritto riguardante anche gli interessi privati in conformità con le determinazioni dell'amministrazione.

 

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