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Diminuiscono i crimini ma aumentano le pene. E la situazione di sovraffollamento delle carceri mina le regole che proibiscono un "trattamento inumano e degradante"
La crescita del numero di detenuti negli istituti di pena corrisponde a una diminuzione dei reati e degli ingressi in carcere: un paradosso tutto italiano che rischia di mettere in discussione l'Art.27 della Costituzione ("L'imputato non è colpevole sino alla condanna definitiva"). La tendenza decrescente dei delitti si conferma nel 2019 rispetto all'anno scorso, registrando un calo del 15%. Gli omicidi diminuiscono del 12,2%, i tentati omicidi del 16,2%, le rapine del 20,9%, i furti del 15,1%, le violenze sessuali addirittura del 32,1%, l'usura del 47%. Nonostante questo, negli ultimi anni il legislatore – facendo leva su un'indistinta e indotta percezione pubblica di insicurezza – ha più volte modificato il codice penale, motivando tali interventi con l'obiettivo di contrastare presunti fenomeni criminali predatori in aumento. È accaduto nel caso della nuova legge sulla legittima difesa o in quello dei vari aumenti di pena voluti nel tempo per i reati di rapina o di furto in appartamento (anch'essi in calo). L'Italia non è solo un paese più sicuro e meno violento che in passato, è anche uno dei paesi europei in cui si uccide meno. Per smontare la retorica del populismo penale viene utile allora guardare ai dati forniti da Antigone: in Europa i reati diminuiscono così come il tasso di detenzione, che è calato del 3,2 per cento negli ultimi due anni.
Anche in Italia i reati sono diminuiti. Ma nello stesso periodo i detenuti sono aumentati del 7,5 per cento. Tra i paesi dell'Ue il nostro è quello in cui il tasso di detenzione è aumentato di più, mentre in Germania diminuiva del 15 per cento e in Spagna del 20. Non è vero che il nostro paese è lassista con chi commette reati. È vero il contrario: il 17 per cento delle condanne va dai 10 ai 20 anni, a fronte di una media europea dell'11. Il 27 per cento dei detenuti ha una pena compresa tra i 5 e 10 anni: 9 punti percentuali in più rispetto alla media europea (del 18 per cento). I volontari dell'associazione Antigone hanno visitato 85 istituti penitenziari e rielaborato i dati a disposizione sui detenuti. Ad oggi, in Italia ci sono 60500 detenuti, circa 10mila in più rispetto ai posti letto disponibili. Il XV rapporto annuale sulle condizioni di Antigone, da sempre impegnata nella difesa dei diritti dei carcerati, si intitola "Il carcere secondo la Costituzione". C'è un ritorno ad un primitivo significato di pena racchiuso nello slogan 'devono marcire in galera': i politici approvano leggi che inaspriscono le pene e i giudici comminano sentenze più dure che altrove. Nel testo di Antigone, si cita a questo proposito la normativa sulla droga, una delle più repressive in Europa. Negli istituti penitenziari del continente, i carcerati per reati di droga sono il 18%, in Italia il 35%. Non va meglio ai presunti innocenti: al 31 dicembre 2018 i detenuti in custodia cautelare in carcere erano 19.565, per una percentuale di detenuti ancora in attesa di una sentenza definitiva pari al 32,8% del totale della popolazione carceraria.
Ma non è tutto. Il tasso di affollamento sfiora il 120%. Dalla rilevazione dell'Osservatorio Antigone, risulta che nel 18,8% dei casi vi sono celle dove non si rispetta il parametro dei 3mq per detenuto: soglia minima al di sotto della quale, secondo la Corte di Strasburgo, si parla di trattamento inumano e degradante. Il rischio è che nel giro di due anni si torni ai numeri della condanna europea che nel 2013 punì l'Italia per violazione dei diritti umani. Al di là del teatrino pre-elettorale tra i due azionisti di maggioranza, resta comunque una visione comune sul carcere come semplice punizione, senza recupero: "buttare la chiave" è il concetto comune a entrambi i gli azionisti di maggioranza del Governo. Tanto che nei giorni scorsi, gli avvocati penalisti sono tornati a scioperare contro la "deriva populista e giustizialista della legislazione penale in Italia" che, come ha denunciato l'Unione Camere penali italiane, "oggi si è trasformata in un obiettivo prioritario del governo del Paese".
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«Di cosa ti occupi?». Una domanda che ci si sente rivolgere spesso. «Scrivo», la risposta audace del sottoscritto. «Ma no, intendevo dire: che lavoro fai?». Ecco, questa è la premessa. Sono veneto, di Jesolo, fin dal lontano 1959. Dopo un intenso vagabondare che negli anni mi ha visto avviare diverse iniziative imprenditoriali in Europa, ho messo momentanee radici a Busto Arsizio. Il mio curriculum include l’esperienza della detenzione, e non ho alcuna intenzione di nasconderlo perché la considero una risorsa che mi appartiene e mi ha arricchito. No, non mi riferisco ai soldi… Sono attento alle tematiche che riguardano la detenzione in ogni suo aspetto, nella convinzione che si possa fare ancora molto per migliorare il rapporto tra la società civile e il carcere. Ebbene sì, per portare a casa la pagnotta scrivo per alcuni periodici, tra cui InFamiglia, DiTutto, Così Cronaca, Adesso, Sguardi di Confine e Sport Donna occupandomi principalmente di sociale. Ho pubblicato Pane & Malavita per Umberto Soletti Editore. Amo la musica, la lettura e la cucina. Sono nonno e mi manca tanto il mare.