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Pensione di reversibilità, dovuta anche se l’assegno di divorzio è riconosciuto dopo il decesso

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Con la pronuncia n. 24041 dello scorso 26 settembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato il diritto di una donna di ricevere una quota della pensione di reversibilità sebbene l'assegno divorzile le fosse stato riconosciuto, all'esito di un giudizio avviato prima della morte dell'ex marito, solo dopo il decesso dell'uomo.

Si è difatti specificato che il diritto dell'ex coniuge all'attribuzione di una porzione della pensione di reversibilità dell'altro presuppone il riconoscimento in suo favore della spettanza dell'assegno divorzile, sia pure in forza di pronuncia non ancora passata in giudicato.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dal ricorso che una donna avanzava contro la vedova dell'ex marito e l'Inps, al fine di ottenere una quota della pensione di reversibilità e del trattamento di fine rapporto a lei spettante dopo il decesso dell'ex coniuge.

In particolare i giudici di merito erano chiamati ad accertare se alla donna spettasse o meno il trattamento economico richiesto, posto che – sebbene il giudizio per il riconoscimento di detto assegno fosse stato introdotto quando l'ex marito era ancora in vita – solo successivamente al decesso dell'uomo il Tribunale le aveva riconosciuto un assegno divorzile pari ad Euro 900,00 mensili, con decorrenza del predetto diritto a far data dal deposito della sentenza. 

Il Tribunale di Brindisi – aderendo all'indirizzo interpretativo secondo cui, ai fini del riconoscimento del diritto ad una quota della pensione di reversibilità, l'accertamento sulla titolarità dell'assegno divorzile deve necessariamente pervenire precedentemente alla morte del coniugerespingeva le richieste avanzate dalla donna.

Di diverso avviso, invece, la conclusione della Corte di appello di Lecce che, nell'accogliere il gravame della donna, ribadiva come fosse sufficiente accertare se, al momento della morte del coniuge, fosse stata proposta domanda di attribuzione di una quota della pensione di reversibilità.

Ricorrendo in Cassazione, la vedova eccepiva violazione e falsa applicazione dell'art. 9, commi 2 e 3 della legge sul divorzio, dolendosi della circostanza per cui alla prima moglie del defunto marito le fosse stato riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità nonostante questa, alla data del decesso dell'uomo, non fosse ancora titolare dell'assegno divorzile, perché giudizialmente riconosciutole solo in data successiva.

La Cassazione non condivide le censure rilevate. 

 La ratio legis della citata normativa è volta ad assicurare all'ex coniuge la continuità del sostegno economico correlato al permanere di un effetto della solidarietà familiare, sicché la pensione di reversibilità prende luogo dell'assegno divorzile quando il coniuge obbligato decede.

Così individuata la ratio della disposizione, la Cassazione rileva come l'art. 9 della legge 898/1970 nel delineare i presupposti indispensabili ai fini dell'attribuzione di una quota della pensione di reversibilità, si limita a prescrivere che il richiedente, al momento della morte dell'ex coniuge, risulti titolare di assegno divorzile, senza specificare alcunché sul rapporto temporale tra il riconoscimento giudiziale e il decesso.

Con specifico riferimento al caso di specie, l'assegno divorzile era stato chiesto dalla prima moglie sin dall'introduzione del giudizio e, in sede presidenziale era stato fissato un assegno di mantenimento; la sentenza non definitiva di divorzio era stata pronunciata ben prima del decesso dell'uomo e il giudizio era proseguito per le determinazioni economiche.

Alla luce di tanto, la Corte non condivide l'assunto della ricorrente, secondo il quale la prima moglie del defunto marito, alla data del suo decesso, non fosse titolare dell'assegno divorzile: gli Ermellini, piuttosto, rimarcano come la controversia coinvolge direttamente solo la posizione del nuovo coniuge in quanto tale, e non quale successore del defunto, sicché assume rilievo il riconoscimento in concreto e non in astratto del diritto all'assegno per effetto di una pronuncia giurisdizionale, che, nel caso di specie, è intervenuta.

In definitiva la Cassazione rigetta il ricorso.

 

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