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Con la pronuncia n. 5268 dello scorso 26 febbraio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata ad esaminare la corretta ripartizione della quota della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato e il superstite, ha dato risalto alla durata delle convivenze prematrimoniali, precisando che ove sia il coniuge divorziato che quello superstite abbiano i requisiti per percepire la pensione di reversibilità, la ripartizione del trattamento va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, anche tenendo conto di ulteriori elementi correlati, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'appello proposto da una donna contro la vedova dell'ex marito, al fine di ottenere la rideterminazione della quota della pensione di reversibilità e del trattamento di fine rapporto a lei spettante dopo il decesso dell'uomo.
La Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Lecce, rideterminava la quota della pensione di reversibilità spettante alla donna, in qualità di coniuge divorziata, nella minor misura del 35%, attribuendo alla coniuge superstite la restante quota del 65%.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'ex moglie denunciava la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 134 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., nonché l'erronea valutazione delle prove prodotte in giudizio.
A tal fine deduceva che la Corte di appello aveva valorizzato una ipotetica convivenza prematrimoniale dell'ex marito con la nuova compagna, senza che ciò fosse stato dimostrato documentalmente.
In seconda istanza, richiamando una pronuncia giurisprudenziale del 2016, rilevava come, ad ogni buon conto, la convivenza prematrimoniale nessuna incidenza avrebbe potuto avere ai fini della determinazione della percentuale di pensione di reversibilità spettante alla seconda moglie.
La Cassazione non condivide le censure rilevate.
In punto di diritto, la Corte ricorda che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali.
Alla convivenza "more uxorio" va riconosciuta non una semplice valenza "correttiva" dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale.
Gli Ermellini specificano, inoltre, come tale principio non possa subire ripensamenti alla luce della giurisprudenza citata dalla ricorrente che si è occupata, invece, sulla differente ipotesi di un convivente more uxorio non coniugato; resta confermato, quindi, il riconoscimento alla convivenza prematrimoniale di un autonomo rilievo nella determinazione delle quote di rispettiva pertinenza tra le parti.
Ne deriva, con specifico riferimento al caso di specie, che correttamente i giudici di merito hanno attribuito rilevanza alla pregressa convivenza tra l'uomo e la sua seconda moglie.
In relazione alla contestazione circa la mancanza di prova documentale in merito alla durata della convivenza prematrimoniale, la sentenza in commento rileva come la stessa sia inammissibile perché del tutto nuova.
In definitiva la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, compensa le spese di lite tra le parti e condanna la ricorrente al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso.
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