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Con la pronuncia n. 22434 dello scorso 24 settembre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno escluso che la pensione di reversibilità spetti all'ex coniuge che ha percepito l'assegno di divorzio in un'unica soluzione: difatti, la titolarità dell'assegno di divorzio – quale presupposto per ottenere il riconoscimento della pensione di reversibilità – deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno divorzile, al momento della morte dell'ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un'unica soluzione.
Sul merito della questione si era pronunciata la Corte di Appello di Messina, la quale negava il diritto ad una donna di percepire una quota della pensione di reversibilità dell'ex coniuge, ritenendo ostativa la circostanza dell'avvenuto percepimento in unica soluzione dell'assegno divorzile.
In particolare, i giudici di merito – considerato il disposto dell'art. 9 comma 3 della legge 898/1970 – ritenevano che il requisito della titolarità dell'assegno doveva considerarsi attuale, sottolineando la necessità che, al momento del sorgere del diritto alla pensione di reversibilità, fosse in atto una prestazione periodica in favore dell'ex coniuge.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'ex moglie evidenziava come siffatta interpretazione disattendesse la natura previdenziale – riconosciuta dalla sentenza n. 159 del 1998 delle Sezioni Unite – del suo diritto a una quota della pensione di reversibilità: a sostegno della propria tesi, venivano evidenziate le profonde differenze con l'assegno divorzile (avente natura esclusivamente assistenziale), rimarcando come, a seguito dell'intervento del legislatore del 1987, 1'attribuzione al coniuge divorziato del diritto a una quota della pensione di reversibilità fosse divenuta ormai automatica, venuto meno il preventivo accertamento di un effettivo stato di bisogno.
La ricorrente richiamava anche quanto statuito nel 1995 dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 87, laddove si chiariva che "il diritto dell'ex coniuge superstite alla pensione di reversibilità non è la continuazione, mutato debitore, del diritto all'assegno di divorzio precedentemente percepito dal coniuge defunto, ma è un diritto nuovo di natura previdenziale, collegato a una fattispecie legale i cui elementi non richiedono alcuna valutazione da parte del giudice".
In relazione al significato da attribuire alla locuzione "titolare dell'assegno" di cui all'art. 9 comma 3 della legge 898/1970, l'ex moglie sosteneva come siffatta titolarità prescindesse dalle modalità della sua corresponsione, ben potendo consistere in una dazione unica o periodica.
In merito al disposto di cui all'art. 5 comma 9 della stessa legge (secondo cui la corresponsione in una unica soluzione dell'assegno preclude la proponibilità di ogni successiva domanda di contenuto economico), si eccepiva come la stessa non si riferisse alla pensione di reversibilità, essendo questa una prestazione che grava sull'ente previdenziale e che non costituisce una continuazione dell'assegno divorzile, non condividendone la natura assistenziale.
Stante il contrasto giurisprudenziale esistente circa la natura giuridica del diritto alla pensione di reversibilità e all'interpretazione da attribuire alla norma nella parte in cui pone come presupposto del diritto la titolarità dell'assegno divorzile, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.
Gli Ermellini, con la sentenza in commento, affermano che il riconoscimento della natura previdenziale del diritto (affermato dalla già richiamata pronuncia n. 159/1998 delle stesse Sezioni Unite) è da ritenersi decisivo per rendere autonoma l'erogazione della pensione di reversibilità dalla modalità di adempimento dell'obbligazione di natura solidaristica-assistenziale propria dell'assegno divorzile, che pertanto può avvenire sia in maniera periodica che in unica soluzione.
Sul punto, tuttavia, si rileva come la citata pronuncia del 1998 rivesta un rilievo solo parziale nel dirimere il contrasto sottoposto all'attenzione del Supremo Consesso, in quanto la giurisprudenza successiva ha riconsiderato la configurazione automatica e predeterminata del diritto previdenziale, soprattutto in relazione alla posizione del coniuge superstite e al suo diritto a percepire, unitamente all'ex coniuge, una quota della pensione di reversibilità.
Su tale specifico aspetto si è pronunciata, con sentenza n. 419/1999, la Corte Costituzionale la quale – fornendo una lettura dell'art. 9 comma 3 compatibile con le disposizioni di cui agli articoli 3 e 38 della Costituzione – ha chiarito che "la pensione di reversibilità realizza la sua funzione solidaristica in una duplice direzione. Nei confronti del coniuge superstite, come forma di ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto. Nei confronti dell'ex coniuge, il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta, per un verso, la continuità di questo sostegno e, per altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilità di un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale…".
La giurisprudenza successiva alla pronuncia della Corte Costituzionale ha costantemente richiamato la funzione solidaristica del trattamento di reversibilità nei confronti dell'ex coniuge e del coniuge superstite, specificando quali sono, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, i criteri di ripartizione dell'assegno: si è quindi precisato che il criterio della durata legale dei rispettivi matrimoni non comporta automatismi di qualsiasi tipo, dovendo il giudice del merito tener conto di ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al detto trattamento, e, tra questi, in primo luogo, dell'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione (cfr: Cass. civ. sez. I n. 23379 del 16 dicembre 2004).
Con la pronuncia in commento le Sezioni Unite evidenziano, quindi, che il presupposto per l'attribuzione della pensione di reversibilità è il venir meno di un sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso:se la sua finalità è quella di sovvenire a tale perdita economica e alla situazione di deficit economico derivante dalla morte dell'avente diritto alla pensione, allora l'indice per riconoscere l'operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare, attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell'assegno, intesa come fruizione attuale di una somma periodicamente versata all'ex coniuge come contributo al suo mantenimento.
Il problema dell'interpretazione dell'espressione testuale "titolare dell'assegno" deve valorizzare il significato della titolarità come condizione che vive e si qualifica nell'attualità.
La corresponsione dell'assegno in unica soluzione preclude, quindi, la proponibilità di qualsiasi successiva domanda di contenuto economico, senza che ciò equivalga a negare il carattere autonomo e di natura previdenziale del diritto dell'ex coniuge al concorso sulla pensione di reversibilità: significa infatti prendere atto che il diritto all'assegno divorzile è stato definitivamente soddisfatto e che non esiste alla morte dell'ex coniuge una situazione di contribuzione economica periodica e attuale che viene a mancare. Difetta pertanto il requisito funzionale del trattamento di reversibilità che è dato dal presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge.
In definitiva la Cassazione sottolinea che il diritto all'assegno previdenziale presuppone la fruizione dell'assegno di divorzio al momento del decesso dell'ex coniuge; il ricorso viene pertanto respinto con compensazione delle spese di giudizio.
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