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Pendolari stressati, no della SC al risarcimento del danno non patrimoniale

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Una decisione, quella in commento, attesa da milioni di pendolari che, per recarsi sul posto di lavoro, viaggiano ogni giorno su treni perennemente in ritardo, sovraffollati ed in pessime condizioni igieniche; ciò con un conseguente stress quotidiano, che si riversa ineluttabilmente sulla loro vita di relazione. La speranza? Quella di vedere riconosciuto un risarcimento del danno non patrimoniale, sub specie di danno esistenziale. Ma così non è stato, seppure in termini che lasciano ancora uno spiraglio di luce per i poveri pendolari. La Suprema Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza n. 3720 dell'8 febbraio 2019, ha ritenuto di non poter riconoscere alcun "ristoro" al ricorrente per non avere, questi, fornito prova alcuna dell'incidenza negativa dei disservizi del sistema ferroviario sulla sfera della sua vita. Un pertugio ancora aperto, sì; ma resta da comprendere se la prova richiesta dagli Ermellini sia o meno, per usare un latinismo, una probatio diabolica.

Il fatto. Un pendolare, esasperato dai ritardi cronici, dalle pessime condizioni di igiene e dal sovraffollamento dei treni che ogni giorno si vedeva costretto ad utilizzare per recarsi sul posto di lavoro, citava in giudizio la Società che gestisce il trasporto ferroviario al fine di vederla condannare al risarcimento di tutti i danni morali, esistenziali e materiali patiti. Nello specifico, l'attore lamentava un inadempimento sistematico, da parte di Trenitalia S.p.A., degli obblighi assunti con il contratto di trasporto e con quelli inerenti il servizio pubblico. Inadempimento che aveva cagionato all'utente: stanchezza cronica; ansia e stress per dover riorganizzare, quotidianamente, la propria giornata lavorativa a causa dell'impossibilità di essere presente con puntualità agli impegni mattutini; tempo sottratto alla famiglia ed al riposo. Tali circostanze - ed è qui il punctum dolens della difesa del pendolare - ad avviso di quest'ultimo rappresentavano fatti notori o di comune esperienza che, in quanto tali, ai sensi e per gli effetti dell'art. 115, comma 2 c.p.c., non necessitavano di specifica prova. Il Giudice di Pace adito, dopo avere ritenuto risarcito il danno patrimoniale con la corresponsione di un bonus (abbonamento gratuito), accoglieva la domanda relativa al risarcimento del danno non patrimoniale, riconosciuto nella misura di € 1.000,00. La Società proponeva appello ed il Tribunale, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava l'istanza del risarcimento del danno non patrimoniale, ritenendo che l'appellante non avesse allegato, né dimostrato l'impatto negativo che i disservizi lamentati avrebbero avuto sulla sua sfera di vita. Il pendolare ricorreva in Cassazione, censurando la decisione impugnata sotto ben sette profili, tutti ritenuti dalla Suprema Corte inammissibili o infondati.

Nello specifico, per quel che qui rileva, i Giudici di piazza Cavour, nel rigettare il ricorso, hanno rilevato come il pendolare avesse unicamente fornito prova dei disservizi lamentati, sul presupposto, erroneo, che le conseguenze naturalmente derivanti dagli stessi (stress, ansia, stanchezza, ecc.) rappresentassero circostanze notorie, ovvero fatti che, appartenendo al normale patrimonio di conoscenza di una determinata cerchia sociale, possono essere dati per scontato dal giudice senza necessità di ulteriori verifiche in punto prova. Ma - ha ricordato la Suprema Corte - così non è. Come affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 26972/2008, il risarcimento del danno non patrimoniale è ammesso, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo in ipotesi di grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona, ritenendo, per contro, non meritevoli di tutela risarcitoria, sotto il profilo del danno esistenziale, tutti quei pregiudizi consistenti in disagi, fastidi o ansie che ogni persona, all'interno del complesso sociale, deve accettare.

La morale della "favola" appare chiara: ad avviso della Suprema Corte, il ricorrente non aveva dimostrato che il pregiudizio esistenziale sofferto avesse superato quella soglia di sufficiente gravità e compromissione del diritto leso che era stata individuata dalle Sezioni Unite del 2008 come limite imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale. 

I Giudici di legittimità, quindi, ben lungi dal voler negare, in via generale, il risarcimento del danno ai pendolari stressati, impone a questi ultimi di fornire prova del fatto che la loro peggiorata condizione esistenziale non sia riconducibile ad un semplice disagio o fastidio

Dunque, cari pendolari, pare che vi sia ancora uno spiraglio di luce per vedere risarcite le vostre sofferenze quotidiane di viaggiatori in balia di treni in cronico ritardo. La speranza è che tale barlume non divenga una chimera e che i Giudici, pur facendo tesoro degli imprescindibili precedenti giurisprudenziali sopra citati, non trasformino la prova del pregiudizio sofferto in una prova impossibile da fornire.
Come disse il Manzoni, "ai posteri l'ardua sentenza".

 

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