Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
Con la pronuncia n. 24922 dello scorso 5 giugno, la Cassazione penale è tornata a pronunciarsi su come deve essere accertato il nesso causale in ambito medico sanitario, assolvendo un medico che, durante il giudizio di merito, era stato condannato per omicidio colposo in quanto era emerso che una corretta diagnosi avrebbe permesso di salvare la vita alla paziente in termini di elevata probabilità ed, in particolare, in termini percentuali maggiori del 59%.
Si è difatti specificato che, in aderenza allo standard probatorio richiesto per l'accertamento della responsabilità penale, "il dato statistico, di per sé, è insufficiente per affermare con certezza la sussistenza del nesso causale fra il comportamento colposo per omissione e l'evento morte della paziente; una percentuale intorno al 59% non può costituire indice di 'elevata probabilità' di sopravvivenza, in quanto residuerebbe una altrettanto elevata percentuale di morte della paziente pari al 41%".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dal ricorso da un sanitario, ritenuto colpevole per il reato di cui all'art. 589 c.p. per la morte di una paziente, deceduta a causa di peritonite purulenta instauratasi a seguito dell'intervento chirurgico eseguito dall' imputato per l'asportazione di due miomi uterini.
In particolare, si contestava al medico di non aver diagnosticato tempestivamente la peritonite, nonostante il peggioramento delle condizioni cliniche della paziente (che, a distanza di un mese dall'intervento, continuava ad avere febbre persistente, oltre che fuoriuscite di pus maleodorante), omettendo di disporre accertamenti strumentali che avrebbero consentito di effettuare una corretta diagnosi e di approntare la terapia idonea ad evitare il progredire della malattia con il conseguente decesso.
Nei primi due gradi di giudizio il camice bianco veniva condannato: i giudici di merito – aderendo alle conclusioni dei consulenti tecnici del PM – rilevavano che una corretta diagnosi avrebbe permesso di salvare la vita alla donna in termini di elevata probabilità ed in particolare in termini percentuali maggiori del 59%.
La difesa dell' imputato, tramite ricorso in Cassazione, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in punto di nesso causale, evidenziando l'intrinseca carenza dell'affermazione secondo cui il ricorso a terapie adeguate avrebbe reso la probabilità di guarigione elevata in misura superiore al 59%: secondo il sanitario, siffatta motivazione - oltre ad essere priva di verificabilità scientifica e carente per mancanza di spiegazione scientifica - era sconfessata dall'anomalia del decorso della malattia, difficilmente prevedibile posto che la peritonite non è una complicanza frequente nell'ambito del tipo di intervento svolto dal sanitario per la rimozione dei fibromi .
La Cassazione condivide le censure formulate.
Gli Ermellini rilevano come la motivazione della sentenza impugnata è carente ed illogica, oltre che non corretta in diritto, laddove si limita ad indicare una percentuale di sopravvivenza della paziente pari al 59%: il dato statistico, infatti, di per sé, è insufficiente per affermare con certezza la sussistenza del nesso causale fra il comportamento colposo per omissione e l'evento morte della paziente.
In punto di nesso di causalità, è 'causa' di un evento quell'antecedente senza il quale l'evento stesso non si sarebbe verificato: sulla base del giudizio controfattuale, un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, dopo aver ricostruito con precisione tutta la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, si giunga alla conclusione che, senza quel comportamento o realizzando il comportamento doveroso omesso, l'evento non si sarebbe verificato.
Per pacifica giurisprudenza, il giudizio controfattuale deve essere condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica; tuttavia, non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile.
Nel campo medico, ad esempio, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
Nel caso di specie, il giudice di merito non ha fatto buon governo dei principi appena delineati, posto che si sono limitati a sostenere che una corretta diagnosi dei medici avrebbe consentito di salvare la vita alla paziente in termini di 'elevata probabilità ed in particolare in termini maggiori del 59%: al contrario, una percentuale intorno al 59% non può costituire indice di 'elevata probabilità' di sopravvivenza, in quanto residuerebbe una altrettanto elevata percentuale di morte della paziente pari al 41%.
In secondo luogo, la sentenza impugnata non ha corroborato i dati statistici provenienti dalle leggi scientifiche utilizzate, con precisi elementi fattuali, di carattere indiziario, idonei a comprovare, con elevato grado di credibilità razionale, che una tempestiva diagnosi dei medici avrebbe certamente salvato la vita della paziente.
In definitiva, l'analisi sul nesso è stata svolta dai giudici di merito in termini assolutamente erronei ed insoddisfacenti, sicché la Cassazione accoglie quindi il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti del medico per non aver commesso il fatto.
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.
Il mio nome è Rosalia Ruggieri, sono una persona sensibile e generosa, sempre pronta ad aiutare chi ne ha bisogno: entro subito in empatia con gli altri, per indole sono portata più ad ascoltare che a parlare, riservatezza e discrezione sono aspetti caratteristici del mio carattere. Molto caparbia e determinata, miro alla perfezione in tutto quello che faccio.
Adoro il mare, fare lunghe passeggiate all'aria aperta, trascorrere il tempo libero con la mia famiglia. Sono donatrice di sangue e socia volontaria di una associazione che tutela i cittadini; credo e combatto per la legalità.
Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.