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Omesso mantenimento ai figli, SC: “Commette reato il padre, inabile al lavoro, che lavora a nero”

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Con la pronuncia n. 38690 dello scorso 19 settembre, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 570, comma 2, c.p. inflitta ad un padre che si era sottratto all'obbligo di mantenimento dei figli, respingendo le difese dell'uomo che si giustificava rilevando come, a seguito di un sinistro stradale, si era trovato nell'assoluta impossibilità di svolgere il proprio lavoro. Secondo la Corte, infatti, era poco rilevante la circostanza che il ricorrente avesse avuto problemi fisici inabilitanti ai fini della capacità di produrre reddito, posto che – avendo avuto modo di provvedere al proprio sostentamento - non poteva di certo trovarsi in una situazione di assoluta impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 c.p.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, incolpato del reato di cui all'art. 570, comma secondo, n. 2 c.p. perché, serbando una condotta contraria alla morale della famiglia, aveva omesso di contribuire in maniera adeguata al mantenimento delle figlie minori e, non versando integralmente l'assegno dell'importo di Euro 400 fissato dal Tribunale civile di Foggia, aveva fatto mancare alle predette i mezzi di sussistenza. 

 Per tali fatti, la Corte di Appello di Bari lo condannava a sei mesi di reclusione ed 500 Euro di multa, così superando le difese dell'uomo circa l'impossibilità ad adempiere e la non volontarietà dell'omissione: a sostengo della propria posizione il padre evidenziava come, a seguito di un sinistro che lo aveva gravemente menomato, si era trovato nell'assoluta impossibilità sia di svolgere il proprio lavoro di imbianchino sia di trovare una differente attività lavorativa, tenuto conto della limitata scolarizzazione.

La Corte, di contro, rilevava come l'uomo, nonostante l'inabilità accertata, non fosse totalmente incapace di lavorare, potendo ancora compiere attività fisica e finanche compiti più pesanti: l'istruttoria dibattimentale aveva fatto emergere, infatti, come l'uomo lavorasse «in nero», il periodo di inabilità scaturente dal sinistro si era concluso e non sussistevano altri eventi tali da giustificare la parziale e continuativa omissione nella corresponsione di quanto dovuto in favore delle figlie minori.

Ricorrendo in Cassazione, il padre eccepiva vizi cumulativi di motivazione per avere la Corte di appello di Bari riconosciuto la sua colpevolezza senza valutare la negativa incidenza del sinistro occorsogli sulla sua capacità lavorativa e, conseguentemente, sulla possibilità di produrre reddito.

In seconda istanza, il ricorrente eccepiva come, per il periodo anteriore al 2011, fosse intervenuta la prescrizione.

La Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente, volte ad accreditare una difforme ricostruzione delle emergenze istruttorie e a sollecitare un sindacato sulle valutazioni compiute dal giudice di merito.

 La Corte specifica che l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve, altresì, integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti.

La Corte di merito, invece, con motivazione priva di lacune, ha ricostruito la vicenda evidenziando come poco rilevante fosse la circostanza che il ricorrente avesse avuto problemi fisici inabilitanti ai fini della capacità di produrre reddito, posto che non si trovava in una situazione di assoluta impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 c.p.. A sostegno di tanto si rilevava come l'uomo – sebbene non avesse versato alcunché alla famiglia - nondimeno non era riuscito a spiegare attraverso quali mezzi avesse potuto provvedere al proprio sostentamento: così facendo, si era assegnata credibilità alla versione secondo cui esercitasse attività lavorativa non dichiarata, con conseguente mancata prova in ordine all'impossibilità di provvedere al pagamento di quanto necessario per il sostentamento delle proprie figlie.

In relazione alla censura riguardante l'intervenuta prescrizione, la Corte la rigetta ricordando che la violazione degli obblighi di assistenza familiare è un reato permanente, che non può essere scomposto in una pluralità di reati omogenei, essendo unico ed identico il bene leso nel corso della durata dell'omissione; ciò comporta che le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l'adempimento dell'obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del padre, condannandolo al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma pari ad euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

 

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