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Notifica ricorso e decreto di fissazione "nei termini di legge": sufficiente congruo intervallo temporale

La Corte di App. di Campobasso, con sentenza 26/05/2016, ha evidenziato che, poiché gli artt. 302 e 303 c.p.c. non prevedono alcun termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell´udienza, qualora il giudice, anziché fissare il termine secondo il suo prudente apprezzamento, disponga che la notifica sia effettuata "nei termini di legge", è sufficiente che si provveda alla notifica con un congruo intervallo temporale tra la notifica stessa e l´udienza, sì da consentire alla controparte un adeguato margine per le proprie difese (v. fra le altre Cass. civ. Sez. III, 19/06/2009, n. 14353)

Segue Sentenza
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI CAMPOBASSO - Collegio civile - riunita in camera di consiglio, nelle persone dei Magistrati:

dr. Paolo DI CROCE - Presidente

dr. Maria Grazia d´ERRICO - Consigliere rel.

dr. Rita CAROSELLA - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di appello n.252/2011 R.G. avverso la sentenza n.182/2010 emessa dal Tribunale di Larino - sez. dist. di Termoli, in composizione monocratica, nel procedimento iscritto al n. 7/2004 R.G.

Oggetto : azione di rivendicazione

TRA

G.V. (c.f. (...)), G.C. (c.f. (...)) e G.P. (c.f. (...)), anche quali eredi di C.M.E., elettivamente domiciliati in Campobasso presso lo studio dell´avv. Rosella Di Tosto, rappresentati e difesi dall´avv. Elvira Sabetta in virtù di procura in calce alla citazione in appello

APPELLANTI

E

A.L. (c.f. (...)) ed A.D. (c.f. (...)), anche quali eredi di A.C. e C.A., rappresentate e difese dall´avv. Pierluigi Tiburzi del Foro di Roma -p.e.c. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. in forza di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta in appello

APPELLATE

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

In fatto.-- C.A. ha convenuto M.E.C., E.G., C.G. e P.G. dinanzi al Tribunale di Larino - sez. dist. di Termoli con citazione notificata il 2/01/2004, esponendo che:

- con atto per Notar Giuseppe M. del (...) era stata convenuta la divisione della comunione ereditaria fra esso attore e R.G. (dante causa dei convenuti), per effetto della quale egli era assegnatario esclusivo dell´appartamento in T. alla via A. n. 5/C primo piano, in catasto alla partita (...), fol.(...), p.lla (...) sub (...) (rectius sub (...), come da visura catastale), comprendente quale pertinenza il locale cantina posto all´ingresso del fabbricato, nonché di mq. 190 del retrostante cortile in catasto al fol. (...), p.lla (...) (pari alla metà dell´intero cortile di mq.380, assegnato a ciascun condividente per la metà);

- a seguito della misurazione effettuata da proprio tecnico, la porzione di cortile di esso esponente risultava di mq. 179 invece che di mq.190, ed inoltre V.G., dopo avere ottenuto la chiave della cantina sopra indicata per depositarvi temporaneamente dei beni, aveva sostituito la serratura ed adduceva un proprio inesistente diritto di proprietà.

L´attore ha quindi chiesto: 1) di accertare e dichiarare che il proprio terreno di cui al fol. (...), p.lla (...), era esteso 190 mq, che la linea di confine di fatto non corrispondeva a quella di diritto e di condannare i convenuti a provvedere all´arretramento del confine; 2) di accertare e dichiarare la propria piena proprietà sulla cantina descritta, con condanna dei convenuti al relativo rilascio; 3) di accertare e dichiarare l´errore materiale contenuto nell´atto divisionale quanto all´indicazione del subalterno (...) in luogo del 7 della p.lla (...) del fol. (...), ordinando la trascrizione della sentenza.

Si è costituito il solo V.G., nella contumacia delle altre convenute, assumendo: quanto al cortile, che esso era stato diviso in base al tipo di frazionamento allegato all´atto di divisione del 1972 prodotto dall´attore, che tale divisione era stata rispettata in occasione dei lavori di ristrutturazione del proprio appartamento e della relativa parte di giardino eseguiti nel 1981, e che comunque il possesso continuo e pacifico protrattosi per 32 anni dopo l´atto di divisione aveva comportato l´acquisto per usucapione del bene oggetto di domanda; circa la cantina, che si trattava in realtà di pertinenza dell´appartamento di proprietà di esso convenuto acquistato il 21/01/1963 con atto che si riservava di produrre, e di averla da allora sempre pacificamente posseduta animo domini, onde la pretesa attorea era basata su mero errore catastale; in ordine alla domanda di rettifica dell´atto di divisione, ha infine affermato che il proprio dante causa R.G. non si era mai opposto alla correzione dell´atto divisionale quanto all´indicazione del sub (...), ma che era stato l´attore a non volervi procedere, una volta appresa l´entità dei relativi costi.

Il convenuto ha quindi concluso per il rigetto delle domande attoree.

Il giudizio, interrotto per la morte dell´attore, è stato riassunto dalle sue eredi A.C., L.A. e D.A. nei confronti di V.G., C.G. e P.G. anche quali eredi della convenuta contumace M.E.C., a sua volta nelle more deceduta.

Assunte le prove testimoniali indicate dalle parti, il Tribunale ha emesso la sentenza n. 182 del 27/05/2010, non notificata, con la quale: a) previa rigetto dell´eccezione di usucapione sollevata dal convenuto costituito, ha accolto la domanda attorea, accertando che il terreno di proprietà di C.A. è esteso mq.190 e condannando in solido i convenuti all´arretramento del confine eccedente le rispettive proprietà, ripristinando la situazione di diritto e rettificando la linea del confine; b) ha dichiarato il locale cantina, assegnato a C.A. con l´atto di divisione, di piena ed esclusiva proprietà delle attrici, quali sue eredi, condannando in solido i convenuti al rilascio dello stesso locale in favore delle attrici; c) ha disposto la correzione dell´errore materiale contenuto nell´atto per Notar M. del (...) nell´indicazione del subalterno (...) in luogo del 7 della p.lla (...) del fol. (...), ordinando al competente Conservatore dei RR.II. di provvedere alla relativa correzione ed alla trascrizione della sentenza; d) ha condannato in solido i convenuti al pagamento delle spese giudiziali sostenute dalle attrici.

V.G., C.G. e P.G., anche in qualità di eredi di M.E.C., hanno proposto appello avverso tale sentenza con citazione notificata il 12/07/´11, chiedendo, in totale riforma della sentenza appellata: 1) in rito, la dichiarazione di estinzione del giudizio di primo grado o di nullità dello stesso e della sentenza; 2) nel merito, previa eventuale ammissione delle richieste di prova rigettate dal primo giudice, il rigetto delle domande delle eredi A., anche in virtù della proposta eccezione di usucapione; 3) per l´effetto, l´ordine agli appellati di restituzione delle chiavi del locale cantina e degli importi versati con riserva di ripetizione per le spese processuali di primo grado, il tutto con vittoria delle spese dell´intero giudizio.

Le appellate L.A. e D.A., anche quali eredi sia di C.A. che di A.C., deceduta nelle more, hanno chiesto l´integrale rigetto dell´appello e la vittoria delle spese del presente grado.

In diritto.-- Non ha fondamento il primo motivo di appello, teso ad ottenere la dichiarazione di estinzione del giudizio di primo grado o di nullità dello stesso e della sentenza per l´asserita mancata rituale integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti convenuti in primo grado.

Come risulta dalla lettura dei verbali di udienza contenuti nel fascicolo di ufficio di primo grado, all´udienza erroneamente indicata come svoltasi il 30/11/1975 (ma in realtà tenuta il 30/11/2006, come da provvedimento di fissazione udienza reso in calce all´istanza di riassunzione proposta dalle eredi A. il 12/07/´06 in seguito all´interruzione del giudizio per morte dell´attore), il difensore delle attrici avv. Tiburzi, dato atto della morte della convenuta contumace M.E.C. risultata in occasione della notificazione dell´atto di riassunzione, chiese termine per notificare tale atto collettivamente agli eredi della medesima, che venne concesso dal giudice "nel rispetto dei termini di legge" con fissazione della nuova udienza del 22/03/2007.

In occasione di tale udienza il suddetto procuratore delle attrici chiese di poter rinnovare la notifica in questione "a norma degli artt. 299 e 163 bis c.p.c.", termine che venne nuovamente concesso dal g.i. (ancora una volta "nel rispetto dei termini di legge"), con fissazione della nuova udienza del 12/07/2007, nel corso della quale il procuratore delle attrici depositò atto di notificazione agli eredi della C. perfezionatosi il 3/05/2007.

Al riguardo la Corte evidenzia che, poiché gli artt. 302 e 303 c.p.c. non prevedono alcun termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell´udienza, qualora il giudice, anziché fissare il termine secondo il suo prudente apprezzamento, disponga che la notifica sia effettuata "nei termini di legge", è sufficiente che si provveda alla notifica con un congruo intervallo temporale tra la notifica stessa e l´udienza, sì da consentire alla controparte un adeguato margine per le proprie difese (v. fra le altre Cass. civ. Sez. III, 19/06/2009, n. 14353).

Nel caso, come si evince dalla relazione di notificazione dell´atto di riassunzione allegata al fascicolo di parte di primo grado dell´avv. Tiburzi (che ne ha peraltro prodotto copia in questa sede), già in data 22/01/2007. con congruo anticipo rispetto all´udienza del 22/03/2007, la notificazione dell´atto di riassunzione e del verbale di udienza del 30/11/1975 -rectius, 30/11/2006- era stata ritualmente effettuata a mezzo posta, collettivamente ed impersonalmente, agli eredi di M.E.C. presso l´ultimo effettivo domicilio di quest´ultima, quale risultante dalle precedenti notificazioni effettuate: la rinnovazione di tale notificazione nel rispetto del termine a comparire di cui all´art. 163 bis c.p.c., chiesta dal difensore delle attrici ed autorizzata dal giudice di primo grado, non era pertanto affatto necessaria, onde di nessuna rilevanza ai fini della presente decisione si rivela la questione posta dagli appellanti circa la prorogabilità o meno del primo termine assegnato, né tanto meno è ipotizzabile l´estinzione del giudizio o la nullità dello stesso e della sentenza di primo grado per omessa rituale integrazione del contraddittorio.

- La seconda censura mossa alla sentenza appellata attiene all´asserita erroneità dei principi affermati dal Tribunale in tema di onere della prova in tema di azione di rivendicazione della proprietà.

Si premette che il primo giudice ha fondato la sua decisione sul presupposto che entrambe le domande proposte dalla parte attrice fossero inquadrabili quali azioni di rivendicazione, sia quanto alla richiesta di arretramento del confine del cortile che a quella riguardante la restituzione della cantina, e che, in mancanza di riproposizione della questione di tale qualificazione -sia pure implicitamente- con i motivi di gravame, essa non può essere riesaminata da questa Corte, essendosi formato sulla stessa il giudicato (v. Cass. 1986/n.2393).

Ciò chiarito, il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell´usucapione (cd. probatio diabolica), non è ridotto per il solo fatto che la controparte proponga domanda (ovvero eccezione, come nella specie) riconvenzionale di usucapione.

Chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha infatti l´onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio "possideo quia possideo", anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa posizione di possessore -Cass. civ., Sez. II, 17/05/2007, n. 11555; Cass.2009/n.5131-,

Come tuttavia specificato dal Tribunale, il costante orientamento della S.C. (ivi compreso l´arresto di Cass. 2010/n.20037, invocato dagli appellanti) ritiene operante l´attenuazione del principio appena richiamato, allorché venga opposto dal convenuto non già un titolo contemporaneo o anteriore atto a contrastare quello addotto dall´attore. ma solo un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo a quello del rivendicante - attenendo in tal caso il "thema disputandum" all´appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell´invocata usucapione e non già all´acquisto di esso da parte dell´attore-, onde l´onere probatorio del rivendicante può ritenersi assolto per effetto del fallimento dell´avversa prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale quel bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare (Cass. civ., Sez. II, 29/11/2004, n. 22418; Cass. civ., Sez. II, 10/03/2006, n. 5161; Cass. civ., Sez. II, 30/03/2006, n. 7529; Cass. 2009/n.9303; Cass.2010/nn. 13882 e 22598; Cass. 2013/n.6824; Cass. 2015/n. 15539; Cass. 2016/n.694): il principio richiamato si attaglia nel caso alla domanda relativa alla porzione di cortile, per la quale il convenuto V.G., a sostegno dell´eccezione di usucapione della zona oggetto di controversia, aveva sostenuto il proprio possesso uti dominus a far tempo dall´atto di divisione del dicembre 1972.

Sia per la zona di cortile che per quanto riguarda il vano cantina, inoltre, come evidenziato dal primo giudice, la domanda era fondata sul presupposto che la relativa proprietà derivasse a C.A. dal citato atto di divisione della comunione ereditaria intercorso con il dante causa dei convenuti: al riguardo, la sentenza appellata afferma che, se è vero che l´atto di divisione, per il suo carattere meramente dichiarativo, non è idoneo a fornire la prova della proprietà nei confronti dei terzi, tanto non può dirsi nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, perchè la divisione, accertando i diritti delle parti nel presupposto di una comunione dei beni divisi, presuppone l´appartenenza dei beni alla comunione" (oltre a Cass. n. 27034 del 18/12/2006, citata dal Tribunale, vedi Cass. n. 4828 del 18/05/1994 e Cass. n.4730 del 2015).

L´appello sul punto va dunque respinto.

- Con il terzo motivo di appello, ci si duole della scorretta valutazione delle prove documentali e testimoniali da parte del Tribunale, oltre che dell´omessa considerazione della mancata risposta delle attrici all´interrogatorio formale.

Circa la preliminare richiesta degli appellanti di ammettere gli ulteriori capitoli di prova testimoniale articolati in primo grado nell´interesse di V.G. e non ammessi dall´istruttore, la Corte fa presente che in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale (v. verbale di udienza del 21/01/´10), il difensore della parte convenuta non ha proposto istanza di revoca del provvedimento istruttorio di rigetto, il che, oltre a precludere la possibilità di adottare decisioni modificative sul punto in sede di decisione, ha come ulteriore conseguenza che la questione non possa neanche essere proposta in sede di impugnazione -Cass. civ., Sez. I, 01/08/2007, n.16993; Cass. civ., Sez. III, 24/11/2004, n.22146-.

In ordine alla domanda di rivendica concernente il vano cantina, gli appellanti criticano la pronuncia del Tribunale nella parte in cui afferma che "dall´atto pubblico di divisione emerge il diritto di proprietà delle attrici in ordine al vano rivendicato ed assegnato, in quella sede, ad A.C.": i G. rilevano che l´atto per Notar Macchiagodena del 23/12/1972 non menziona affatto la cantina in questione, né alcuna pertinenza dell´appartamento al primo piano di via A. n. 5/C in T., e sostengono la necessità dell´accertamento del diritto di proprietà sulla cosa accessoria, non conseguente automaticamente alla prova del diritto sul bene principale.

In senso contrario a tale assunto, secondo le regole previste dall´art. 818 c.c., gli atti ed i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto: il negozio che riguarda la cosa principale disciplina pertanto ad ogni effetto anche la pertinenza, pur se di queste non vi si fa cenno, mentre è la diversa volontà idonea a sottrarre la pertinenza dalla disciplina prevista per la cosa principale che deve essere inequivocamente manifestata (cfr. Cass. civ. Sez. II, 23/07/1994, n. 6873; Cass. 2003/n.634; Cass. 2006/n.26946), onde nel caso l´atto di divisione del 1972, nell´assegnare a C.A. l´appartamento al primo piano ivi indicato, ha ricompreso in tale assegnazione le relative pertinenze, in mancanza di contrarie disposizioni.

La parte attrice aveva inoltre prodotto, allegandole al proprio fascicolo quali documenti sub n.2, copia della planimetria redatta dal geom. C. il 24/04/1971 (intestatari erano all´epoca i coeredi pro indiviso G.R. ed A.C.), raffigurante il citato appartamento di via A. n.5/C al primo piano e della relativa "cantina" al piano terra, nonché visura catastale aggiornata in base a denunzia di riunione d´usufrutto dell´8/01/1994 (dall´atto di divisione del 1972 usufruttuaria dei beni assegnati risultava tale L.F.) dalla quale risultano intestati a C.A. l´appartamento suddetto di 4,5 vani (fol. (...), p.lla (...), sub (...)) ed il piano terra alla via A. n.5/E di 46 mq. (fol. (...), p.lla (...), sub (...)): come dedotto dagli appellanti, le risultanze delle mappe catastali non sono dotate di valore decisivo ai fini dell´azione ex art. 948 c.c., il che non ne esclude tuttavia la valenza indiziaria e sussidiaria rispetto all´insieme delle risultanze istruttorie (Cass. 2009/n.5131).

Rimandando a quanto già esposto in tema di attenuazione degli oneri probatori in tema di rivendica fra le parti dell´atto di divisione, si rileva che al riguardo il convenuto costituito V.G. aveva sostenuto trattarsi di un caso di "mero errore catastale" e che la cantina era in realtà pertinenza dell´appartamento di sua proprietà acquistato il 21/01/1963 con atto per Notar D´Ettorre di Termoli (allorchè il convenuto, nato il (...), aveva circa nove anni) che si riservava di produrre: tale produzione non è tuttavia mai avvenuta, né si è specificato nel corso del giudizio il soggetto acquirente in virtù di detto atto notarile -a parte le asserzioni al riguardo contenute nella memoria di replica depositata nella presente fase di appello, non provate e delle quali non può comunque tenersi conto in quanto tardivamente rese-.

V.G. aveva poi eccepito di avere posseduto la cantinola animo domini a far tempo da tale acquisto del 1963: a parte la mancata specificazione circa l´eventuale successione del convenuto nel possesso o l´accessione del proprio possesso a quello del proprio autore ex art. 1146 c.c., le prove testimoniali espletate, come sottolineato dal Tribunale, non hanno avallato tale ricostruzione, giacchè i testi D.P. e D.C. sono stati in grado di confermare il possesso della cantina da parte del G. solo nel periodo tra il 1965 ed il 1968; il teste P. ha poi genericamente ricordato che quando erano bambini, "ma qualche volta anche in seguito", frequentava il locale insieme al convenuto, che lo utilizzava anche per il deposito di attrezzi.

Anche circa la porzione di cortile oggetto di rivendica, le doglianze degli appellanti circa il vaglio del materiale probatorio effettuato dal Tribunale si rivelano inconsistenti.

La sentenza gravata, dopo aver premesso che l´atto notarile di divisione prevedeva la divisione in due parti uguali del cortile esteso 380 mq. retrostante il fabbricato, ha dato atto del fatto che V.G. aveva improntato la sua difesa sulla tesi dell´avvenuta usucapione della parte di cortile rivendicata dalle attrici -le quali avevano sostenuto l´usurpazione da parte dei convenuti di circa 11 mq. di terreno-, mentre lo stesso convenuto non aveva contestato l´asserita disparità di ripartizione.

Gli odierni appellanti non mettono in discussione tale ultima precisazione del Tribunale (peraltro corrispondente all´esatto contenuto della comparsa di costituzione del G. allegata al suo fascicolo di parte del primo grado), e tuttavia prospettano inammissibilmente per la prima volta nella presente sede di gravame la questione della omessa prova della disparità delle dimensioni delle porzioni di cortile di fatto in possesso degli eredi degli originari condividenti.

Motivando sulla mancata dimostrazione dell´esercizio del valido possesso ad usucapionem della porzione di cortile contesa a favore del G., la sentenza dà conto dell´insufficienza delle prove addotte dal convenuto, richiamando le deposizioni dei testi M. e P., nonché del teste T..

Riguardo alle osservazioni degli appellanti circa i legami di parentela di tale ultimo teste con le parti attrici, osserva la Corte che anche a voler tenere conto delle sole testimonianze degli altri testimoni indifferenti alle parti è palese la genericità delle dichiarazioni rese, sicuramente inidonee anche per l´aspetto in questione a giustificare la proposta eccezione di usucapione (sui capitoli interessanti il cortile, così ha dichiarato il teste M.: "vi era un giardino retrostante di pertinenza dei due appartamenti e ...la presenza di un pergolato posto più o meno sulla linea di confine, almeno credo...non ricordo della presenza di una recinzione"; il teste P.: "più o meno è vero ciò che mi si chiede...non ricordo con esattezza...presumo di sì"; la teste P.: "posso solo dire che nel 1981 quando abitavo l´appartamento lo stesso non venne ristrutturato. Non so quale fosse lo stato dell´appartamento, prima e dopo il periodo in cui vi abbiamo abitato"; il teste D.P.: "sul capo 2 della memoria istruttoria di parte convenuta nulla so...sul capo 3 e 4 nulla so"; il teste D.C.: "sui capi 2, 3 e 4 nulla so").

La mancata comparizione delle parti attrici a rendere l´interrogatorio formale dedotto nei loro confronti dal convenuto -non menzionata dalla sentenza appellata- non comporta infine l´automatico effetto della ficta confessio auspicato dagli appellanti, occorrendo a tal fine valutare tale dato alla luce del complessivo quadro probatorio (Cass. 2011 /n.15674; Cass. 2013/n. 10099), il che induce nel caso a ribadire che gli elementi acquisiti siano insufficienti a ritenere dimostrato l´acquisto per usucapione ventennale opposto da V.G., come condivisibilmente concluso dal Tribunale.

Anche sotto tale profilo, l´appello è dunque infondato.

- L´atto di appello contiene (alla pag.14) il riferimento alla questione della correzione dell´errore materiale di cui al capo c) del dispositivo della sentenza appellata, in ordine al quale tuttavia nessuna critica viene mossa alla decisione del Tribunale, ma unicamente si reitera l´affermazione di non aver frapposto alcun ostacolo a tale correzione, già contenuta nelle difese svolte in primo grado.

Nulla sul punto va pertanto deciso da questa Corte.

- Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in riferimento all´epoca di definizione, applicando il D.M. n. 55 del 2014 -Cass. sez. un. 2012/n.17405 e 17406-, ed i relativi parametri medi in ragione del valore della causa -indeterminabile di complessità bassa-, per le fasi di studio, introduttiva e decisoria.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Campobasso - Collegio civile,

pronunciando definitivamente sull´appello proposto da G.V., G.C. e G.P., anche quali eredi di C.M.E., nei confronti di A.L. ed A.D., anche quali eredi di A.C. e C.A., avverso la sentenza n.182/2010 emessa dal Tribunale di Larino - sez. dist. di Termoli, in composizione monocratica, così provvede:

1) rigetta l´appello;

2) condanna gli appellanti, in solido, a rimborsare alle appellate le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 6.615,00 per compenso al difensore, oltre al rimborso forfettario nella percentuale del 15% sul compenso, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del 26 aprile 2016.

Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2016.

 

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