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Nostra compagna la solitudine ma più che abbracci dateci clienti che ci paghino

Alberto-Pezzini
I lavoratori più soli siamo noi avvocati.
Lo sapevo già ma ora perfino la Harvard Business Review ci rivela questa amarissima realtà.
Siamo i primi nella scala della solitudine.
Dopo di noi soltanto gli ingegneri sanno quanto sia triste mangiare davanti ad un monitor acceso all´ora di pranzo, oppure alla sera, quando le luci si spengono e rimane accesa soltanto quella pozza di luce bianca nel tuo ufficio.
In realtà uno studio del genere dice una cosa vera ma non approfondisce la questione.
Mi spiego meglio.
 
Vi parlo ex professo oppure in cathedra se volete, perchè un capitolo del mio primo libro (mi sto autocitando, tanto lo fanno tutti) intitolato Volevo fare l´avvocato (Historica 2015) era dedicato proprio alla solitudine, questa nostra sorella di vita.
Già Scott Turow nel suo primo libro, Harvard Facoltà di Legge (Mondadori), ne aveva parlato.
 
A scuola, ad Harvard, si stava a studiare ore su ore, e non restava tempo per nulla, neanche per la vita privata che andava a farsi benedire. Un po´ come l´internato in medicina, tanto per intenderci.
 
Ma la solitudine dell´avvocato – come vi stavo dicendo – è qualcosa di più.
Prima di tutto va detto che essa è una coperta di Linus, di cui non si potrà mai fare a meno.
L´avvocato è solo nelle scelte professionali, tanto per intenderci.
 
Si consulta con il cliente, parla con lui, ma poi la responsabilità di aver scelto una data linea difensiva non la può appaltare al suo assistito.
Quindi, se gli va bene, bene, se la linea va male, avvocato lei non capisce nulla, mica come l´avvocato di mia cugina.
 
La scelta di una certa condotta processuale quando la fai?
Di notte, di giorno, ad occhi aperti, anche quando sembra che l´avvocato non stia pensando a nulla.
Viene in mente quella frase celebre di Mark Twain che – a proposito dello scrittore – diceva come sia difficile far credere alla propria moglie che si sta lavorando anche quando si sta in silenzio.
 
L´avvocato è solo di notte quando pensa alla linea da scegliere l´indomani, e non dorme. Mica ne può parlare alla moglie, anche se le rifila le proprie frustrazioni quotidiane. Ma resta solo.
 
Puoi chiedere consiglio ad un collega, certamente. Ma dopo, la decisione devi prenderla tu, altrimenti non avresti fatto l´avvocato che resta una professione dove le decisioni vanno sofferte in solitudine.
La solitudine oltretutto non è sempre detto che faccia male all´avvocato. A volte gli può anche recare un certo vantaggio, gli può essere di stimolo.
 
Ettore Randazzo – insuperabile maestro siracusano – nel suo libro L´Avvocato e la verità (Sellerio 2003) tesse un elogio della solitudine mattutina, quella di matrice operativa, che gli consentiva di lavorare in santa pace ogni giorno senza l´assillo dei telefoni e l´andirivieni tipico di ogni gtande studio legale.
 
Anch´io – nel mio piccolo – ho sempre visto nella solitudine un´opportunià per l´avvocato anziché uno spauracchio.
Quando si è soli, più soli, si ha paura.
L´unico strumento che l´avvocato ha per sconfiggere una paura del genere è soltanto una, studiare più degli altri. E´ sempre il vecchio adagio a farla da padrone, rem tene, verba sequentur.
 
Mi si chiede tuttavia di dire qualcosa anche su ciò che la solitudine possa arrecare ad un avvocato in termini meno professionali e in qualche modo soltanto squisitamente esistenziali.
Cioè, ma è vero che gli avvocati – per questa loro condizione quasi consustanzale – si separano più degli altri professionisti?
 
Ad esempio il celebre Scott Turow alla fine si è sposato due volte (pure io, però , anche se non vendo milioni di copie come lui) e in effetti anche il protagonista del suo ultimo libro, La testimonianza (Mondadori 2017), è pure lui un ex giudice separato dalla moglie.
 
Posso dirvi per esperienza personale che – secondo me – anche in questo caso la solitudine dell´avvocato costituisce un falso problema.
Non è vero che gli avvocati si separino più degli altri.
Secondo me capita addirittura il contrario. Gli avvocati si separano magari di più ma per risposarsi sempre.
Nel matrimonio, nell´unione che fonde osmoticamente corpi, menti e anime, l´avvocato riverca il rimedio più efficace contro il suo deserto mentale, fatto di pietre e giudici che gli danno costantemente torto.
 
E´ nella famiglia che l´avvocato oggi cerca di recuperare parte della propria dignità professionale distrutta. Non è più la solitudine la vera nemica, ma la sempre crescente e progressiva povertà.
Non solo sentimenti, ma sonante pecunia, signori della corte.
Quindi, più che un abbraccio, servono clienti che ci paghino.

 

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