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"Noi non siamo una lobby, lei sbaglia". Da un avvocato lezione di diritto a Marco Travaglio

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L'editoriale dal titolo "Chiagni e sciopera", con il quale il direttore del "Fatto" ha criticato apertamente (e duramente) la decisione degli avvocati penalisti di proclamare l'astensione contro la legge Bonafede che abolisce la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ha suscitato molte reazioni.

Tra queste, quella di Davide Grassi, Avvocato penalista, fondatore nel 2005 a Rimini il primo "osservatorio sul disordine economico", che ha fatto parte della rete legale di "Sos Impresa" (associazione nazionale antiracket che tutela le vittime di usura e di estorsione). Il quale, proprio a Travaglio ha scritto una lettera aperta nella quale ha contestato uno per uno tutti gli argomenti dell'articolo del direttore del Fatto,  che riproduciamo qui.

 Caro direttore Travaglio,

ho letto l'editoriale dal titolo "Chiagni e sciopera", con il quale critica apertamente (e duramente) la decisione degli avvocati penalisti di proclamare l'astensione (sacrosanto diritto di protesta) contro la legge Bonafede che abolisce la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. E, da avvocato che si astiene, mi permetto di dirle che il suo articolo contiene delle imprecisioni. Peraltro, l'argomento trattato, dovrebbe essere oggetto di contraddittorio.

Non mischiamo i precedenti interventi legislativi (in cui passarono riforme sicuramente discutibili) con la volontà di opporsi alla decisione del governo di modificare un istituto giuridico così importante, qual è quello della prescrizione, che tutela un principio costituzionalmente garantito: la ragionevole durata del processo. Peraltro, qui la correggo e la tranquillizzo, dell'istituto della prescrizione non ne abuserò durante l'astensione, la prescrizione in questo caso si sospende.

E' vero sì, a volte la prescrizione è servita a "salvare" qualche imputato. A volte però, quell'imputato è finito nella macchina trita-carne (e non trita-carte) del processo penale, da innocente e vittima del pregiudizio di qualcuno. A volte è vero, la prescrizione intervenuta prima di una sentenza di primo grado, può vanificare le aspettative della parte offesa, che si costituisce nel procedimento penale. Ma la parte civile avrà comunque la possibilità di coltivare la sua azione nel procedimento civile. All'indagato (in attesa di sapere se verrà rinviato a giudizio o archiviato) o all'imputato (entrambi presunti innocenti) invece chi li ripagherà, dopo il lungo calvario giudiziario, dei danni subiti e delle spese sostenute (tanto più se dovesse essere assolto)?

Questa sua difesa a prescindere della riforma, con un attacco alla categoria degli avvocati penalisti rei, a suo dire, di aver messo in giro una "fake news", sminuisce il ruolo che abbiamo all'interno del sistema giudiziario. Un sistema giudiziario che ovviamente non è perfetto. Anche noi avvocati commettiamo degli errori certo, ma la storia ci insegna che anche i magistrati possono commettere degli errori nel motivare una sentenza di condanna o applicare una misura cautelare. E come porvi rimedio?

"Errare humanum est" mi potrà rispondere. Ed infatti, è per questo che esiste, come rimedio giuridico, lo strumento dell'impugnazione che a lei non piace, perché allunga ulteriormente l'esito di un procedimento. L'impugnazione esiste per tentare di porre rimedio alla manifesta infondatezza di una sentenza, all'errore nella qualificazione giuridica di un fatto, all'applicazione di una misura cautelare nei confronti di un indagato quando non vi sono le esigenze.

Quando scrive che "gli avvocati sanno benissimo che la gran parte dei loro clienti sono colpevoli" scrive una cosa non vera. Salvo casi eccezionali infatti, noi non sappiamo mai se i nostri assistiti sono realmente innocenti o colpevoli. Assistiamo l'imputato e l'imputato per noi non è colpevole.

"Peraltro non saprei come distinguere tra innocente e colpevole, come "giudicare" questa condizione: dovrei farlo forse in maniera casereccia?" scriveva il caro Ettore Randazzo nel suo saggio "La giustizia nonostante". Il capitolo è quello dal titolo "L'inganno della presunzione di innocenza". Tema da sempre discusso, quello della presunzione di non colpevolezza, perché nel nostro sistema giudiziario esistono istituti che permettono la privazione della libertà anche di chi, in qualità di indagato, è ritenuto presunto innocente. Sono tutti argomenti che, data la loro delicatezza, dovrebbero essere oggetto di confronto costante tra magistratura e avvocatura. Entrambe categorie delle quali nutro una profonda fiducia e rispetto.


 l nostro processo penale accusatorio, tanto invidiato all'estero, prevede una cross examination a tutela del diritto a difendersi. Mi sembra più che corretto che non possano essere acquisiste, salvo casi eccezionali, testimonianze raccolte in fase di indagine. Se lei, Direttore, frequentasse tutti i giorni un'aula penale, da semplice spettatore ovviamente, si renderebbe conto che, sommarie informazioni testimoniali alla mano (SIT in gergo tecnico), i testimoni ascoltati durante il dibattimento, non sono tutti così attendibili come sembrerebbero dalla semplice lettura dei verbali redatti durante l'indagine (per questo esistono le "contestazioni"). E mi pare di ricordare che di testimoni reticenti e/o falsi lei ne abbia parlato in passato, quando ha scritto di processi di rilevanza nazionale con imputati eccellenti. Senza il contraddittorio delle parti, come potremmo sapere se una persona offesa o un testimone mente o se l'imputato è davvero colpevole come sostiene l'accusa?

Non mi dilungherò ulteriormente, ma concludo dicendole che sbaglia anche quando pensa che portiamo avanti battaglie solo per "quelli che fatturano di più". In realtà, salvo i casi in cui il rapporto fiduciario non si instaura tra difensore e richiedente assistenza, nel credere fermamente nel "diritto di difesa", assistiamo tutti coloro che hanno diritto ad un "Giusto processo". Ovvero tutti coloro che hanno necessità della nostra difesa tecnica.

 

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