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Minori, il diritto a vivere con i genitori può essere limitato solo in caso di extrema ratio

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Con la sentenza n. 26879 depositata il 23 ottobre, la I sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di disporre lo stato di adottabilità di una bambina per l'incapacità di entrambi i genitori a prendersi cura della stessa, ha sancito che il diritto del figlio di vivere con i suoi genitori può essere limitato solo in caso di «extrema ratio», qualora a causa dell'irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per loro totale inadeguatezza si configuri un endemico e radicale stato di abbandono.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal ricorso proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano, su segnalazione dei servizi sociali, affinché fosse dichiarato lo stato di adottabilità di una minore; il Tribunale adito, accogliendo il ricorso, ne dichiarava lo stato di adottabilità ì, sospendeva entrambi i genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale, e disponeva l'interruzione dei rapporti tra la bambina ed i genitori e familiari, collocando la medesima presso una famiglia idonea all'adozione.

La Corte d'appello di Milano respingeva l'appello proposto dai genitori e confermava il provvedimento impugnato, condividendo il percorso argomentativo del Tribunale circa lo stato di abbandono della minore per l'incapacità di entrambi i genitori a prendersi cura della figlia e per l'assenza di figure familiari vicarianti.

Avverso la decisione, i genitori proponevano ricorso per Cassazione.

In particolare, i ricorrenti denunciavano violazione e falsa applicazione degli articoli 8, 9 e 15 della legge 184/1983, per aver il Giudicante ritenuto sussistente lo stato di abbandono della minore sebbene i genitori della medesima avessero dimostrato costantemente il loro affetto per la bambina e la loro volontà di prendersene cura, anche collaborando con l'autorità giudiziaria al fine di migliorare la loro capacità genitoriale. 

In seconda istanza, i genitori si dolevano del fatto che la Corte d'appello non aveva compiutamente e dettagliatamente preso in esame le relazioni della psicoterapeuta privata, la quale aveva evidenziato l'impegno costante della madre nel cercare di migliorare la sua genitorialità ed i notevoli progressi ottenuti in tal senso: siffatte relazioni, ove interamente ed adeguatamente esaminate, avrebbero potuto indurre la Corte territoriale ad una decisione diversa da quella adottata.

La Cassazione condivide le difese formulate dai ricorrenti.

In punto di diritto gli Ermellini ricordano che l'art. 1 della l. n. 184 del 1983 sancisce il prioritario e fondamentale diritto del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia; ne deriva che il giudice deve avere un particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del superiore interesse del bambino: il diritto del figlio di vivere con i suoi genitori può essere limitato solo in caso di «extrema ratio», qualora a causa dell'irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per loro totale inadeguatezza si configuri un endemico e radicale stato di abbandono (Cass., n. 13435/2016 e n. 11758/2014).

A tal fine, il giudice di merito deve prioritariamente verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare, e – solo ove risulti impossibile o altamente improbabile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare – è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono (Cass. n. 7559/2018, n. 22589/2017 e n. 6137/2015). 

Tanto premesso in via di principio, la Corte osserva che il quadro probatorio delineatosi nei due gradi del giudizio non ha messo in luce la sussistenza di una situazione di abbandono materiale e morale della minore tale da giustificare la dichiarazione dello stato di adottabilità: nonostante l'acclarata sussistenza di non poche «criticità personologiche di entrambi i genitori», le risultanze della disposta c.t.u. ed i pareri espressi dalla Comunità ove mamma e bambina sono state ospitate hanno, nondimeno, evidenziato un forte attaccamento di entrambi i genitori alla minore ed una assoluta disponibilità a prendersi cura della medesima; la bambina, inoltre, è sempre apparsa molto felice di incontrare i genitori.

La Cassazione censura la decisione della Corte di Appello anche perché non ha considerato, ai fini di una corretta e completa delibazione circa l'eventuale stato di abbandono della minore, né il contributo ricevuto da una coppia, amica dei genitori della piccola, che si era resa disponibile a prendersi cura della minore né il comportamento della madre che aveva deciso, di propria iniziativa, di rivolgersi ad una psicoterapeuta, in assenza di aiuti concreti da parte della casa famiglia, al fine di raggiungere una maggiore autonomia nella gestione della bambina e migliorare le sue capacità genitoriali.

In relazione a tale ultimo aspetto, la sentenza in commento evidenzia come il concreto impegno della madre nel farsi curare ed aiutare a superare i propri limiti è incompatibile con la situazione di abbandono della minore prefigurata dalla Corte territoriale, che ha del tutto omesso di porre in luce tale decisiva circostanza, essendosi limitata ad uno sbrigativo ed apodittico riferimento alle suddette relazioni, senza scendere in un esame dettagliato e completo delle risultanze delle stesse.

Alla luce di tanto, la Cassazione rileva come la decisione di secondo grado abbia palesemente violato gli artt. 8 e 15 della legge n. 184/83; accoglie, quindi, il ricorso e cassa, con rinvio, l'impugnata sentenza. 

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