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22 giugno 1805, nasce Giuseppe Mazzini, autore del "Manifesto della Giovine Italia"

22 giugno 1805, nasce Giuseppe Mazzini, autore del "Manifesto della Giovine Italia"

Giuseppe Mazzini (Genova, 22 giugno 1805Pisa, 10 marzo 1872) è stato un patriota, politico, filosofo e giornalista italiano. Esponente di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribuirono in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano; le condanne subite in diversi tribunali d'Italia lo costrinsero però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane furono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato.

«Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso. L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario»

Il pensiero politico mazziniano deve essere collocato in questa temperie di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del 1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con l'età trascorsa.


Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista (almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna religione rivelata.

Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se, come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la sua concezione teologica da quella politica) e l'assenza di intermediari tra Dio e il popolo: per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana, Mazzini definì il Papato "la base d'ogni autorità tirannica".

Un altro influsso sulla concezione religiosa mazziniana è stato visto nella considerazione che egli ebbe per la religione civile di ispirazione romana e per l'ammirazione verso la "Prima Roma", antica e pagana, che passando per la Seconda (cristiana e medievale), avrebbe preparato il campo alla Terza Roma futura; un mito questo, romantico-neoclassico, che sarà fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Berto Ricci (1905-1941), e dalla massoneria con l'esoterista Arturo Reghini (1878-1946) e avvicina il mazzinianesimo anche al culto massonico del Grande Architetto dell'Universo.

In realtà Mazzini rifiuta non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo («...L'ateismo, il materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del Dovere per tutti...»), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli crede nella reincarnazione[47], per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato.

Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari delle società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese Gioacchino da Fiore (circa 1130-1202), l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere come la nazione che avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema questo poi ripreso da Vincenzo Gioberti nel suo Primato morale e civile degli Italiani.

Mazzini ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico sull'abate Gioacchino, che considerava un suo precursore per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.

La sua è stata anche definita una religione civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere «che Dio è Dio, e l'Umanità è il suo Profeta» che «il Popolo» è «immagine di Dio sulla terra» e vi è «un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione». Per lui non conta che la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica, «l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi».

Mazzini era altresì convinto che fosse ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio». Per questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di premio, senza calcoli di utilità». Quello di Mazzini era un progetto politico, ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.».

La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la meta predisposta da Dio.

Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano». Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità.

Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation.

La futura unità europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.

In questo processo unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi popoli.

La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; Mazzini esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno.

La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare.

La rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima possibile.

La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è concentrata esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Mazzini non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo individuale.

 Questa lettura ci aiuta ad entrare nel mondo spirituale del Mazzini. Egli incita a superare gli egoismi e ad agire per la rivoluzione e ricorda che le grandi rivoluzioni sono prima di tutto un fatto spirituale. Infine Mazzini proclama la sua fede nella verità, che è una sola e la cui ricerca impegna il lavoro di tutta l'umanità, un lavoro che deve essere prima di tutto educativo. Egli conclude affermando che di tutto ciò sono testimonianza "i nostri martiri di oggi" (si riferisce alla repressione di alcuni moti rivoluzionari nelle Romagne) e "la nostra vittoria di domani".


G. Mazzini, Manifesto della Giovine Italia
Se un Giornale a noi Italiani esuli raminghi e sbattuti dalla fortuna fra gente straniera, senza conforto fuorché di speranza, senza pascolo all'anima fuorché d'ira e dolore, non dovesse riuscire che sfogo sterile, noi taceremmo. Fra noi, finora s'è speso anche troppo tempo in parole: poco in opere; e se non guardassimo che a' suggerimenti dell'indole propria, il silenzio ci parrebbe degna risposta alle accuse non meditate, e alla prepotenza de' nostri destini: il silenzio, che freme e sollecita l'ora della giustificazione solenne; ma guardando alle condizioni presenti, e al voto, che i nostri fratelli ci manifestano, noi sentiamo la necessità di rinnegare ogni tendenza individuale a fronte del vantaggio comune: noi sentiamo urgente il bisogno di alzare una voce libera, franca e severa che parli la parola della verità ai nostri concittadini, e a' popoli che contemplano la nostra sventura.
Le grandi rivoluzioni si compiono piú coi principii, che colle baionette; dapprima nell'ordine morale, poi nel materiale. Le baionette non valgono, se non quando rivendicano, o tutelano un diritto: e diritti e doveri nella società emergono tutti da una coscienza profonda, radicata ne' piú; la cieca forza può generare vittime e martiri e trionfatori; ma il trionfo, collochi la sua corona sulla testa d'un re o d'un tribuno, quand'osta al volere dei piú, rovina pur sempre in tirannide.
I soli principii diffusi e propagati per via di sviluppo intellettuale nell'anime manifestano ne' popoli il diritto alla libertà, e creandone il bisogno, danno vigore e giustizia di legge alla forza. Quindi la urgenza dell'istruzione.
La verità è una sola. I principii che la compongono sono pochi: enunciati per la piú parte. Bensí le applicazioni, le deduzioni, le conseguenze de' principii sono molteplici; né intelletto umano può afferrarle tutte ad un tratto, né, afferrate, comprenderle intelligibili e coordinate, in un quadro limitato, e assoluto. I potenti d'ingegno e di cuore, cacciano i semi d'un grado di progresso nel mondo; ma non fruttano, che per lavoro di molti uomini, ed anni. La umanità non s'educa a slanci: ma per via d'applicazioni lunghe e minute, scendendo a particolari e paragonando fatti, e cagioni, impara le sue credenze.

[...]

Questo sa la Giovine Italia e s'intende l'altezza della sua missione, e l'adempirà, noi lo giuriamo per le mille vittime che si succedono instancabili da dieci anni a provare, che colle persecuzioni non si spengono, bensí si ritemprano le opinioni: lo giuriamo per lo spirito, che insegna il progresso, pei giovani combattenti di Rimini, pel sangue dei martiri Modenesi. V'è tutta una religione in quel sangue; nessuna forza può soffocare la semenza di libertà, però ch'essa ha germogliato nel sangue dei forti. Oggi ancora la nostra è la religione del martirio: domani sarà la religione della vittoria.
E a noi giovani, e credenti nell'istessa fede, corre debito di soccorrere alla santa causa in tutti i modi possibili. Poiché i tempi ci vietano l'opere del braccio, noi scriveremo. La Giovine Italia ha bisogno di ordinare a sistema le idee che fremono sconnesse e isolate nelle sue file: ha bisogno di purificare d'ogni abitudine di servaggio, d'ogni affetto men che grande questo elemento nuovo e potente di vita che la spinge a rigenerarsi; e noi, fidando nell'aiuto Italiano, tenteremo di farlo: tenteremo di farci interpreti di quanti bisogni, di quante sciagure, di quante speranze costituiscono la Italia del secolo XIX.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, l97l, vol. XX, pagg. 334-335 e 337

 

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