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Magistratura Democratica contro protocollo su asilo: "Carta violata, diritto di difesa non è uguale per tutti"

Pubblichiamo l´intervento del presidente di Magistratura Democratica Riccardo De Vito e del magistrato del tribunale di Roma Silvia Albano


di Silvia Albano* e Riccardo De Vito**
La previsione dell´audizione del richiedente asilo senza l´assistenza del suo avvocato difensore non solo lede gravemente il diritto di difesa della parte, tutelato dall´art 24 della Costituzione, ma rischia anche di rendere meno efficace e rilevante la stessa audizione del richiedente.

Il 6 marzo è stato sottoscritto il «Protocollo Sezione Immigrazione» tra il presidente del Tribunale di Venezia e il presidente del locale Consiglio dell´Ordine. Ne ha scritto ieri, su Il manifesto, Ernesto Milanesi. Non possiamo esimerci da alcune considerazioni critiche sul contenuto del protocollo perché crediamo contenga previsioni in contrasto con i più elementari diritti della parte processuale, in questo caso particolarmente debole ed ignara dei propri diritti.

Ci riferiamo in particolare ai punti 6 e 7, laddove si prevede l´audizione dello straniero da parte del giudice senza la presenza del difensore e l´obbligo del difensore di comunicare al giudice, prima dell´udienza, l´eventuale sussistenza di malattie infettive del ricorrente e nel caso l´obbligo di produrre certificazione medica attestante l´assenza di pericolo di contagio. Si tratta di previsioni secondo noi illegittime sotto molteplici aspetti.

La previsione dell´audizione del richiedente senza l´assistenza del suo avvocato difensore non solo lede gravemente il diritto di difesa della parte, tutelato dall´art 24 della Costituzione, ma rischia anche di rendere meno efficace e rilevante la stessa audizione del richiedente, il quale non conosce la normativa e spesso non rivela particolari rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale semplicemente perché non sa che si tratta di fatti o condizioni che consentirebbero il suo riconoscimento (come spesso accade ad esempio per le vittime di tratta o di mutilazioni genitali).

Da tale punto di vista il ruolo dell´avvocato è determinate per giungere ad una decisione corretta.

L´obbligo per l´avvocato di rivelare dati ultra sensibili relativi al suo cliente, poi, lede il diritto alla riservatezza e la dignità della parte, e viola platealmente la normativa italiana sancita dal Codice in materia di protezione dei dati personali. Si tratta, infatti, di dati sensibili il cui trattamento e diffusione non è di regola consentito, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell´interessato e previa autorizzazione del Garante. Anche a volere fare rientrare tale trattamento (del che sinceramente si dubita) nell´ipotesi di salvaguardia dell´incolumità fisica di un terzo sarebbe, comunque, necessaria l´autorizzazione preventiva del Garante della Privacy.

Nessuno penserebbe mai di chiedere simile certificazione medica alle parti di qualsiasi altro procedimento giudiziario, dimenticando, tra l´altro che i richiedenti sono soggetti a stringenti controlli medici sia al loro arrivo che nei centri di accoglienza. E nessuno oserebbe pensare, in altri settori del processo civile, a un interrogatorio libero della parte senza la presenza del difensore.

Ci preoccupa, dunque, non solo il profilo di illegittimità, ma anche l´opzione culturale che traspare dal protocollo, che tradisce lo svilimento della materia, che è complessa e tratta dei diritti umani fondamentali, e un pregiudizio nei confronti dei richiedenti asilo e dei loro difensori.

* magistrato del Tribunale di Roma
**presidente di Magistratura democratica
Pubblicato su Il manifesto, 18 marzo 2018

 

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