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Con l'ordinanza n. 22180 dello scorso 13 luglio, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha fornito importanti precisazioni in merito alla scelta del luogo di sepoltura, chiarendo che - qualora siffatta scelta non sia stata esercitata da defunto mentre era in vita – spetta prima al coniuge e, in successione, ai figli, ai genitori ed agli altri parenti di sangue.
Si è difatti precisato che "lo "jus eligendi sepulchrum" rientra nella categoria dei diritti della personalità e, come tale, non può formare oggetto di trasferimento "mortis causa"; ove, tuttavia, la "electio" non sia stata esercitata dal defunto durante la sua vita, la scelta del luogo di sepoltura può essere fatta dai prossimi congiunti, senza alcun rigore di forme, con prevalenza dello "ius coniuge sullo "ius sanguinis" e di questo sullo "ius successionis"( quindi, nell'ordine: coniuge, figli, genitori, altri parenti di sangue)".
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla domanda presentata da un uomo, che agiva contro la cognata ai fine di ottenere lo spostamento del luogo di sepoltura della defunta moglie, sorella della convenuta, dal luogo della famiglia di origine della defunta, ove era stata sepolta, al luogo di residenza della coppia.
Il Tribunale di Sassari respingeva la domanda.
La Corte d'appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, confermava la decisione di primo grado, rilevando che, in ordine alla prova della manifestazione di volontà della defunta circa il luogo di sepoltura, doveva essere confermato il giudizio del giudice di primo grado circa la maggiore attendibilità delle dichiarazioni dei testi di parte convenuta, perché più specifiche, coerenti e rese da persone vicine alla defunta nell'ultimo periodo di vita, trascorso nella casa della sorella.
Ricorrendo in Cassazione, il marito censurava la decisione della Corte d'appello, sostenendo come i giudici, non prendendo in considerazione la volontà espressa dal coniuge superstite in ordine al luogo di sepoltura, in assenza di disposizione testamentaria, e, al contrario, dando prevalenza alla volontà espressa dagli altri parenti, avrebbero violato il principio di diritto in ordine alla gerarchia dei soggetti abilitati ad esprimere la volontà in luogo del defunto.
La Cassazione non condivide la posizione del ricorrente.
Gli Ermellini ricordano come le spoglie mortali possono costituire oggetto di disposizione da parte del de cuius in ordine alla loro destinazione e tale diritto rientra tra quelli per loro natura assoluti ed intrasmissibili, mentre il diritto dei congiunti di provvedere alla destinazione della salma opera solo in via sussidiaria, quando non risulti la volontà del defunto, con prevalenza dello ius coniugii sullo ius sanguinis e di questo sullo ius successionis.
Ne deriva che la scelta del luogo di sepoltura (c.d. "electio sepulchri") compete in primo luogo al de cuius e tale diritto, preminente su quello di analogo contenuto spettante iure proprio ai congiunti più prossimi, rientra tra i diritti della personalità, per loro natura assoluti e intrasmissibili. Il predetto "ius eligendi sepulcrum", mentre non può formare oggetto di trasferimento "mortis causa", cosicché non può ad esso applicarsi la disciplina successoria (né legale né testamentaria), può dare vita ad un mandato "post mortem exequendum", attraverso il conferimento di un mandato ai prossimi congiunti; l'esistenza ed il contenuto di un simile mandato costituisce questione di fatto, rimessa al giudice di merito, insindacabile se congruamente motivata.
In relazione al caso di specie, la Cassazione evidenzia come la Corte d'appello abbia ritenuto dimostrata la volontà specifica espressa dalla defunta di essere sepolta nella tomba della famiglia d'origine, sulla base delle testimonianze di parenti della sorella, testimonianze ritenute più attendibili di quelle fornite dalla difesa del marito, in considerazione della più assidua e intensa frequentazione dei primi testimoni, essendosi la de cuius trasferita nell'ultimo anno della sua vita presso il domicilio della sorella, senza mai fare rientro alla casa coniugale.
Gli Ermellini evidenziano come la motivazione della sentenza impugnata sia del tutto congrua e corretta, insindacabile, non sussistendo la lamentata violazione di legge per la corretta osservanza, da parte del giudice a quo, dei principi di diritto sopra richiamati.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso con condanna del ricorrente al versamento di un importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
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