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Lombardo Radice, il pedagogista che disse no a Mussolini

Lombardo Radice, il pedagogista che disse no a Mussolini

 Giuseppe Lombardo Radice (Catania, 24 giugno 1879Cortina d'Ampezzo, 16 agosto 1938) è stato un pedagogista e filosofo italiano. Laureato in filosofia all'Università di Pisa, Lombardo Radice fu dapprima docente di scuola media, pubblicando alcuni studi su Platone, a Foggia e Palermo, dove nel 1907 fondò con Giovanni Gentile la rivista "Nuovi Doveri". Tra il 1911 e il 1922, insegnò pedagogia all'Università degli Studi di Catania. In seguito negli anni 1922-1924, dunque durante il Fascismo, alle dirette dipendenze dell'allora ministro della Pubblica IstruzioneGiovanni Gentile, provvide alla stesura dei programmi ministeriale per le scuole elementari o primarie, prevedendo fra le altre anche l'uso delle lingue regionali nei testi didattici per le scuole (il programma Dal dialetto alla lingua) nel rispetto delle differenze storiche degli italiani. Questo tuttavia non si tradusse in pratica effettiva, data l'enfasi unificatrice e livellatrice dell'ideologia fascista. Collaborò con Gentile alla traduzione italiana della Critica della ragion pura di Immanuel Kant.

Il suo operato non è associabile all'ideologia fascista, tant'è che quando il Fascismo rivelò apertamente la sua natura totalitaria con il delitto Matteotti nel 1924, egli passò a insegnare pedagogia presso l'Istituto superiore di magistero di Roma fino al 1928. Per aver abbandonato la collaborazione con il governo Fascista subì un periodo di emarginazione che lo indusse a ritirarsi dalla politica attiva (pur senza prendere mai apertamente le distanze dal Fascismo, come per altro gran parte della classe universitaria del tempo). Si rivolse all'insegnamento e alla diffusione di un nuovo indirizzo pedagogico con la rivista L'educazione nazionale. Tale indirizzo pedagogico si ispirava all'opera del grande filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, da Lombardo Radice considerato il "profeta dell'educazione nuova". Ammirò e sostenne l'indirizzo pedagogico adottato a Muzzano (Svizzera) dalla maestra Maria Boschetti Alberti di Bedigliora. Dalla moglie Gemma Harasim, una maestra di Fiume, ebbe tre figli: Giuseppina, Laura, partigiana e moglie di Pietro Ingrao, e il matematico Lucio

 
«Il contadinello de La Montesca è uno scolaro che sa prendere appunti di tutto ciò che lo interessa, a scuola e fuori. E' ristretto, perché la vita del podere tosco-umbro isola gli uomini in piccolissimi gruppi, lontani l'uno dall'altro. Per anni ed anni si può dire, come mi scrive la Marchetti: 'la sua esistenza si svolge fra la casa e i campi dove conduce al pascolo pecore o maiali, in mezzo alla natura, sì, ma con occhi che senza la scuola non vedrebbero, cioè non saprebbero ammirare'.
La Montesca gli presenta ogni cosa come un miracolo gentile, che bisogna comprendere ed amare; lo collega col mondo sociale, lo trasforma in un piccolo conversatore, in pittore del suo mondo.
Il risultato, a scuola finita, è documentato da questi passi di lettere scrittemi da varie serene osservatrici, maestre. C'è un profondo buon senso. Scrivendo, Dio ci liberi, a un 'pedagogista' quelle brave figliole non parlano di scuola, di esami e di promossi. Oh no, e si vede proprio da ciò che sono maestre de La Montesca.
1. - In genere i nostri alunni rimasti a casa, dopo aver compiuto la sesta, si dimostrano attenti al loro lavoro e pronti ad accettare di provare cose nuove. Le ragazze disimpegnano bene i lavori di massaia. -2. - Gli uni e gli altri acquistano un tratto gentile, che li distingue dagli altri piccoli contadini. -
3. - I ragazzi che hanno seguito la nostra scuola sono più pronti a seguire consigli (in materia agricola) e a tentare migliorie al podere. -
4. - Quando venni qui non avevo fatto mai scuola... Rimasi commossa nel vedere questi bambini così affettuosi e franchi. -
5. - I bambini insegnano anche a me molte cose. E' una gran gioia a sentirli discutere con me degli esperimenti che fanno. -6. - Dopo aver terminato il corso elementare le bambine vengono sovente a trovare le insegnanti (il giovedì spesso vengono alla sera); fanno loro gran festa incontrandole; sono felici che la maestra visita le loro case; ricorrono alla maestra in ogni bisogno; continuano a leggere i libri della biblioteca. I ragazzi frequentano per diversi anni la scuola serale; se vanno soldati scrivono di tanto in tanto, e in questo momento diversi sono quelli che ci scrivono dal fronte con gratitudine ed esprimendo nobili sensi circa il loro dovere. -
7. - I bambini che provengono da altre scuole diventano ben presto i più entusiasti ammiratori della scuola e della maestra, e si interessano molto al disegno, anche se, rispetto ai compagni già sveltiti, incontrano difficoltà. Si dimostrano più espansivi. Dicono che questa è una vera scuola. -- Le famiglie si dimostrano più deferenti di quelle i cui figli vengono nelle nostre scuole fin dall'inizio dell'insegnamento.
Vien da ridere a pensare come tanta gente attribuisce la bontà della scuola alla ricchezza del materiale didattico! Come se i sussidi didattici non fossero sempre in funzione dell'anima di chi li adopera! Ma per molti anni "il giudizio fatto" era quello. Me lo conferma questa lettera di una insegnante de La Montesca:
- Molti maestri e visitatori hanno attribuito al materiale didattico il merito delle nostre scuole e molto leggermente hanno esclamato: Eh! Con questo materiale, sfido che si possono fare tante cose! Eh! Non tutti possono avere scuole fornite come quella del barone Franchetti. Noi, anche volendo, non potremmo far nulla.

-Ma, ammettiamo che "il materiale" abbia giovato a facilitare la buona maturazione del frutto didattico; il vantaggio era tolto da un danno: l'orario.
- A La Montesca ogni classe rimane affidata all'insegnante per tre ore; a Rovigliano da due ore a due ore e mezzo. In quelle ore, ogni momento ha la sua occupazione e guai se l'insegnante non ha ben chiaro nella mente quel che farà! Insegnanti ed alunni hanno le ore contate. -
Del resto né la bella sede, né il ricco (e pressoché inutile, dico io) materiale didattico giovarono a trattenere tutte le insegnanti: ed alcune di esse si allontanarono per accettare sedi incomparabilmente inferiori. Perché?

Non resistevano alla fiamma di Alice Franchetti. Alice Franchetti era una santa della attività, non una protettrice della pigrizia! Una persona autorevole mi comunicava che "dopo un anno di lavoro, si stancarono di dover rifare la propria cultura, specialmente scientifica e si cercarono una delle solite scuole, dove basta leggere e scrivere".

 Povere creature, sperdute nella scuola, senza preparazione e vocazione! Quante, purtroppo, ve ne sono ancora, per cui la scuola è un mezzo per campare e null'altro! Quel che importa è il senso di responsabilità che assume il bambino con questi esercizi. Egli formula i pensieri, egli ha da dettarli ai compagni, dopo il buon lavoro di pulitura stilistica e grammaticale, cui viene sottoposto (quasi senza parere), nella conversazione scolastica, tutto ciò che egli dice.
Non scompare affatto l'individualità del bambino, ma è più che altro la sua logica che viene esercitata.
Tutta la carità di Alice Franchetti mira a formare questo spirito logico. Il sentimento non è soffocato (tutt'altro), ma non trova un posto negli scritti, se non quando vien da sé, ed è contenuto entro limiti, togliendo le parole inutili. La gran virtù del contadino è il parlar poco, quasi il rispetto della parola, come cosa che non è da sprecare. Il bambino con questo suo pensare e dettare per i compagni e ai compagni cerca, da sé, ciò che può essere pensiero di tutti, sentimento di tutti, in una circostanza ipotetica, ma già verificatasi. Quindi quella obiettività del suo spirito, che si attacca alle cose precise,
controllate da tutti i compagni, accertate molte volte in comune. L'importante per lui diventa di non dimenticar nulla di essenziale, che anche un altro bambino dovrebbe dire e di non far nulla di superfluo. Il suo scritto piglia sapore di "formula", ma la formula è trovata dal bambino; l'espressione del sentimento assume il carattere "rituale", ma la ritualità è sentita davvero come la manifestazione dell'anima di tutti, e il rito non è imparato, manierato, meccanico; ma anche esso trovato, come cosa necessaria a tutti. 

Tutto questo è veramente rurale: nobilmente rurale. E' propria del contadino dell'Italia centrale la serietà e la sobrietà del discorrere che esso chiama sempre "ragionare". ("Si ragionava della stagione che fa quest'anno"). E del resto il contadino, di tutti i paesi, è conciso e sentenzioso; il cittadino è chiacchierone. Il contadino saluta e ringrazia e prega, sempre con le stesse parole, che paiono "frasi fatte" e sono invece sentitissime, comecché rituali; il cittadino invece va cercando le parole e le varia, e bene spesso le diluisce.
Il contadino ha uno spirito ordinativo, nonostante tutte le sue superstizioni; ha bisogno di esser munito di qualche cosa da credere per ogni caso della vita; non ha dubbi; ma quando li ha e chiede è per lo più credulo verso chi ne sa più di lui, mentre quando ha la sua idea, è incredulo verso chiunque lo contraddica. Perché ha bisogno di camminare sul sodo e per sentirsi tranquillo rifugge dal rifare le sue idee.
Ciò denota non pigrizia mentale, ma prudenza del suo intelletto. E' una certa forma mentale-morale che si dice posatezza; e tutti intendiamo subito che cosa sia. Questa non va scombussolata, ma aiutata.
L'educazione rurale de La Montesca è perciò essenzialmente scientifico-pratica. La pietosa creatura francescana che fu Alice Franchetti non voleva la limitatezza del contadino, ma non voleva rovinare il valore morale che è in quella apparente limitatezza. L'educazione scientifica (osservazione personale;
osservazione continuata dello stesso oggetto della natura, per settimane e settimane; voler toccar con mano la verità; chiarirla dimostrandola, rendersi conto dei fenomeni più comuni che ci lasciano per solito indifferenti e incuriosi) ha la sua parte di valore come educazione estetica (lucidus ordo della esposizione; disegno accurato che accompagna via via le osservazioni).
Esaminando questi compiti fanciulleschi, che valgono sempre come collettivi, sebbene siano genuinamente individuali, sorprende però una certa uniformità, che a lungo andare diventa anche un poco freddezza. Si sente che qui è il pregio massimo, ma anche il difetto de La Montesca.
La Montesca, difatti, ispirata da Alice Franchetti e tecnicamente in buona parte da Lucia Latter, mentre dà un grande valore alla regione, come vita agricola, non arriva a sentire il valore del dialetto, della tradizione popolare, dei proverbi, della poesia di popolo. E lo stesso disegno è sempre da un pò troppo regolato e riproduce, in cicli di osservazioni, presso a poco gli stessi fenomeni, di anno in anno. Non diventa mai disegno-giuoco (scopritore della personalità del bambino), ma è sempre disegno-composizione dello studio elementare della scienza fatto sul vero. E perciò ogni disegnatore somiglia
molto agli altri.

Arriva, specie nelle bambine, ad una sua perfezione di coloritura, ma limita la scelta. Ed è strano che mentre il bambino d'ordinario si prova a disegnar tutto, il contadinello de La Montesca non disegna che piante, o "particolari" illustrativi delle piante studiate. Quando sorpassa questi limiti, il disegnatore è di carattere geometrico (la casetta, la porta, il ponte, la bandiera, ecc.) o geografico.
Lo spirito Franchetti-Latter rimane in questo un po‟ troppo anglosassone. Dà risultati mirabili, ma non ha germinazioni nuove né prosecuzioni.
E non dico che sia stato torto di alcuno, perché con quelle poche ore e con i programmi vecchi da rispettare non c'era da fare molto di più; anzi non dico che sia stato un male, perché era bellissimo acquisto quella stessa vigorosa limitazione della spontaneità, senza uso di artifici».

 

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