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Con l'ordinanza n. 17663 dello scorso 25 agosto, la III sezione civile della Corte di Cassazione ha escluso che il danno psichico sofferto da un uomo a seguito di un intervento chirurgico mal eseguito andasse liquidato separatamente dal danno biologico.
La Corte ha rigettato il ricorso del paziente che, in sede di impugnazione della sentenza del giudice di appello, insisteva sulla separata liquidazione di tale voce di danno, specificando che "in caso di mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, il ricorrente, in sede di impugnazione della sentenza, non deve limitarsi ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma deve articolare chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale ricavato in applicazione delle cosiddette "tabelle di Milano", delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come "danno biologico", risultando, in difetto, inammissibile la censura atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, un uomo conveniva in giudizio una struttura sanitaria chiedendo, previo accertamento della responsabilità del medico che l'aveva operato, la condanna a tutti i danni patiti a seguito dell'erronea esecuzione di un intervento di ernioplastica, che aveva severamente compromesso la sua vita sessuale, provocando – a suo dire – anche una incapacità di procreare.
Il Tribunale di Ancona, previo riconoscimento del nesso di causalità con la condotta negligente del medico e dell'esistenza di un danno biologico nella misura del 35-40%, liquidava in favore dell'attore 61.981,85 euro a titolo di danno patrimoniale, 200.000,00 euro a titolo di danno non patrimoniale e 12.000,00 euro per invalidità temporanea, oltre rivalutazione ed interessi.
La Corte d'appello di Ancona riduceva il danno biologico alla percentuale del 35% ed il danno non patrimoniale ad Euro 170.443,00.
A sostegno della propria decisione la Corte rilevava come il CTU aveva compreso nel danno biologico la componente qualificata in termini di danno morale, essendo la sofferenza psichica una componente del danno biologico e non ulteriore pregiudizio esistenziale.
Il paziente, ricorrendo in Cassazione, deduceva violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 185, 1226 e 2056 c.c., eccependo come sia il danno morale, in quanto sofferenza soggettiva, sia il danno esistenziale, quale componente estranea al danno biologico, fossero autonomamente risarcibili e andassero risarciti a parte, in quanto non compresi nella percentuale di invalidità accertata dal CTU quale danno biologico.
Gli Ermellini non condividono le censure formulate.
In punto di diritto, la Corte ricorda che il danno biologico, quello morale e quello dinamico-relazionale costituiscono componenti dell'unitario danno non patrimoniale che, senza poter essere valutate atomisticamente, debbono pur sempre dar luogo ad una valutazione globale.
Ne consegue che, in caso di mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, il ricorrente, in sede di impugnazione della sentenza, non deve limitarsi ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma deve articolare chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale ricavato in applicazione delle cosiddette "tabelle di Milano", delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come "danno biologico", risultando, in difetto, inammissibile la censura atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle.
In relazione al danno esistenziale, la Corte ricorda che, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del "danno esistenziale", atteso che con quest'ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente, quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale
Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza in commento evidenza come i giudici di merito, aderendo alle conclusioni del CTU, abbiano proceduto ad un aumento dell'originario punto tabellare in modo da includervi la componente già qualificata in termini di danno morale, che risultava così compreso nel danno biologico: il ricorrente, dolendosi della decisione assunta, non ha articolato la doglianza facendo emergere l'erronea esclusione delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come "danno biologico"; la censura risulta quindi inammissibile, atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo di tali poste di danno.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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