Se questo sito ti piace, puoi dircelo così

Dimensione carattere: +

Lesioni colpose per aggressione di un cane: la responsabilità del proprietario

Imagoeconomica_1496817

Per i danni causati da un animale occorre una valutazione prognostica sugli obblighi del rispettivo padrone. La Suprema Corte con sentenza 31874/19 ribadisce che le lesioni personali prodotte a terzi dall'aggressione di un cane richiamano la responsabilità penale del padrone ove l'elemento soggettivo della condotta di quest'ultimo sia sussumibile nella fattispecie criminosa di cui all'art. 672 c.p. L'obbligo di custodia, scaturente dalla fattispecie penale, comporta poi secondo la Corte che l'adozione delle cautele non si esplica semplicemente nel fatto che l'animale fosse tenuto in un luogo provvisto di un recinto. Nel caso "de quo" il cane dell'imputata aveva causato con un morso delle lesioni alla gamba di un minore; le lesioni erano state considerate guaribili in dieci giorni. L'imputata aveva così subito in primo grado, davanti al Giudice di Pace, la condanna al pagamento di una multa, nonché al risarcimento dei danni alla persona offesa. 

Il giudice aveva difatti ritenuto responsabile la proprietaria del cane del reato di cui all'art. 672 c.p. e tale decisione veniva poi riconfermata in appello. In particolare il Tribunale osservava che la condotta dell'imputata era contrassegnata sia da elementi della colpa generica- vale a dire di negligenza imprudenza e imperizia- sia da elementi di colpa specifica. Questi ultimi si rinvenivano proprio nel difetto dell'obbligo di custodia così tracciato dall'art. 672 c.p. per aver omesso le dovute cautele le quali avrebbero comportato un controllo continuo sull'animale che, tra le altre cose, era sprovvisto di museruola; inoltre l'imputata non aveva impedito che il cane vagasse nei luoghi pubblici. Veniva presentato ricorso per cassazione con il quale si contestava in primo luogo il difetto di motivazione della sentenza d'appello: se difatti era corretta la ricostruzione per cui il cane si trovava in un'area recintata dei giardinetti pubblici riservata agli animali, altrettanto non era corretta la parte di diritto della sentenza. La ricorrente sosteneva che l'incidente si fosse verificato invece per il fatto che la nonna avesse introdotto il minore in tale area: poiché difatti non era prevedibile che un minore venisse condotto nell'area anzidetta non si poteva pretendere una particolare vigilanza da parte della proprietaria; era dunque interrotto il nesso causale tra la condotta dell'imputata e l'evento lesivo e su tale punto v'era un difetto di motivazione nella sentenza.  

La Corte dichiarava inammissibile il motivo sollevato dalla ricorrente sancendo senza giri di parole che per costante giurisprudenza non è possibile la riproposizione degli stessi motivi presentati in sede di appello: osservava la Corte che le ragioni prospettate dall'appellante sono state confutate dal giudice di secondo grado con adeguata motivazione e che il difensore della ricorrente non si era curato di censurare adeguatamente in sede di ricorso le valutazioni del Tribunale; egli di fatto si era limitato, per l'appunto, alla prospettazione degli stessi motivi d'appello. Aggiungeva la Corte che invero l'imputata era sopraggiunta tardivamente sul luogo dopo l'aggressione rifiutando, poi, di conferire le sue generalità; sottolineava, poi, come il "Decalogo dell'Area Cani" obblighi pur sempre i proprietari di operare un controllo costante sui cani medesimi e di non lasciarli incustoditi. Tali disposizioni dunque sugellavano chiaramente in capo all'imputata una posizione di garanzia che nel caso di specie veniva meno perché non erano stati rispettati i suddetti obblighi.

 

Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.

Quando la gelosia diventa reato
La valenza probatoria degli sms e della posta elet...

Cerca nel sito