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La valenza probatoria degli sms e della posta elettronica

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Cambia la modalità di "scrivere" e cambiano pure le "prove scritte": così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 19155/19 afferma che gli sms e i messaggi di posta elettronica rientrano sotto l'egida dell'art. 2712 c.c. contribuendo dunque a fare piena prova di quanto ne costituisce contenuto, sempre che non ne venga disconosciuta la conformità. Il disconoscimento, inoltre, non può essere generico ma ben circostanziato al fine di dimostrare la non aderenza alla realtà di quanto rappresentato. Si trattava nel caso di specie di un procedimento monitorio incardinato innanzi al Giudice di Pace per ottenere il rimborso di alcune spese straordinarie sostenute da una madre per il figlio; il ricorso per decreto ingiuntivo, difatti, era stato presentato nei confronti del padre naturale del minore. L'ingiunto presentava così opposizione che trovava accoglimento in primo grado. Diversamente il Tribunale in sede di appello riformava la predetta statuizione basandosi sul valore probatorio degli sms scambiati tra i genitori nei quali emergeva l'assetto delle spese dato dai genitori medesimi; in particolare si evinceva che il padre dava il proprio assenso per l'iscrizione del figlio all'asilo nido e che lo stesso avrebbe contribuito per metà dell'importo della retta 

. Risultava- secondo il Tribunale- che non v'era stata nelle more del giudizio alcuna contestazione circa la provenienza e il contenuto degli sms. L'appellante poi presentava ricorso per cassazione lamentando anzitutto la non corretta applicazione degli artt. 2702 e 2712 c.c. laddove, non mostrando gli sms né l'autore degli stessi né il numero del mittente né il destinatario, era stata data loro valenza probatoria. Costituiva un'ulteriore doglianza il fatto che la contestazione fosse avvenuta già in sede di comparizione delle parti e che, mancando la sottoscrizione, non occorresse il disconoscimento di cui agli artt. 214-215 c.p.c. A chiusura poi il ricorrente lamentava che non fosse stata data agli sms natura meramente indiziaria.  

La Corte risponde ritenendo anzitutto infondato il secondo motivo: richiamando una previa pronuncia, essa ricorda come la posizione della giurisprudenza di legittimità riguardo gli sms sia nel senso che essi facciano piena prova e che il giudice possa, nonostante la contestazione, valutare la conformità alla realtà del loro contenuto attraverso presunzioni o altri mezzi di prova. Gli Ermellini asseriscono che gli sms, così come i messaggi di posta elettronica, sono quindi sottoposti ad un regime diverso rispetto a quello dell'art. 215 comma 2 c.p.c. in base al quale il documento disconosciuto non può essere utilizzato se non vi sia stata una richiesta di verificazione o l'esito positivo della stessa. Sebbene dunque non sia applicabile la disposizione sopracitata la Corte chiarisce che la contestazione non può essere generica (come invece avvenuta in giudizio) ma deve essere specifica: occorre cioè che vengano allegati elementi da cui si evinca la discrasia del contenuto del documento rispetto alla realtà. Dichiarato assorbito poi il primo motivo, la Corte ritiene inammissibile il terzo perché al caso di specie risulta applicabile l'art. 116 c.p.c. non richiedendo la legge un regime diverso per la valutazione della prova.  

 

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