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La cointestazione di C/C a un terzo è donazione indiretta in suo favore, non occorre atto scritto se evidente è animus donandi

Quante volte ci è capitato (e ci capiterà) di interrogarci sulla esatta qualificazione da attribuire ad un rapporto bancario (conto corrente, deposito bancario e altro) cointestato a più soggetti, o ad interrogarci sui diritti di ciascuno, o ancora ad interpretare le norme civilistiche per capire se sussista o meno un proposito di liberalità, e quali conseguenze debbano essere tratte? Tante, certamente! Ma adesso i giudici di legittimità hanno stabilito con chiarezza quando lo stesso può essere qualificato come donazione indiretta in favore del cointestatario che, non avendo provveduto a conferire proprie somme sul conto, si trova ad essere titolare con pieni poteri di dispositivi (prelevare somme, fare bonifici, versare assegni ed altro).
I giudici della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione con l´ordinanza n. 4682 del 5 aprile 2018, hanno chiarito i requisiti in presenza dei quali la cointestazione di un conto bancario con la disponibilità di entrambi i cointestatari di effettuare in maniera disgiunta operazioni, debba qualificarsi come donazione indiretta.

Con la sentenza citata i giudici hanno affermato che se viene verificata l´esistenza dell´animus donandi del contitolare che ha provveduto con proprie somme esclusive a costituire il fondo del conto corrente, allora quell´arricchimento senza corrispettivo che ne è derivato all´altro cointestatario deve qualificarsi come donazione indiretta.
 
I Fatti
Uno dei due cointestatari del conto aveva convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma l´altra titolare del conto, sostenendo che la somma di Euro 50.000,00, dallo stesso prelevata dal conto corrente bancario cointestato con la convenuta presso la Banca X era stata oggetto di donazione da parte della convenuta la quale aveva cointestato il predetto conto corrente ad entrambe le parti versando sullo stesso la somma di Euro 100.000,00. Con la sua domanda l´attore chiedeva al Giudice adito che fosse accertata la contitolarità della somma complessiva di Euro 100.000 e la spettanza in suo favore di metà della somma, per donazione indiretta e per applicazione dell´art. 1298 c.c..
 
Si costituiva la convenuta che contestava totalmente quanto sostenuto dall´attore ed in via riconvenzionale la condanna dell´attore alla restituzione in suo favore della somma di euro 50.000, prelevata in quanto la stessa non aveva mai manifestato alcun "animus donandi".
Il Tribunale di Roma respingeva la domanda dell´attore ed, in accoglimento della domanda riconvenzionale, lo condannava alla restituzione alla convenuta della somma di Euro 50.000,00, oltre interessi e spese.
Avverso tale decisone veniva proposta impugnazione avanti la Corte di Appello sostenendo, per un verso, la sussistenza dell´animus donandi e, per altro verso, che, trattandosi di donazione indiretta, non era necessaria la forma solenne di cui all´art. 782 c.c.
La Corte d´appello di Roma, con sentenza depositata il 21/4/2014, rigettava l´appello e così parte soccombente proponeva il ricorso in cassazione con un unico motivo.
Il ricorrente lamentava l´erronea o la falsa applicazione dell´art. 809 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici della corte d´appello, dopo aver ammesso che, in caso di donazione indiretta, non fosse necessaria l´osservanza della forma dell´atto pubblico, ha ritenuto che, trattandosi dell´apertura di un c/c bancario, l´animus donandi doveva risultare per iscritto.
Ragioni della decisione
I giudici della Seconda Sezione della Corte hanno ritenuto fondato il motivo proposto col ricorso. I giudici di legittimità hanno infatti ricordato che la forma solenne è prevista a pena di nullità proprio per la donazione tipica. Mentre per la validità delle donazioni indirette, invece, non è richiesta la forma dell´atto pubblico, essendo sufficiente l´osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità. (Cass. n. 468 del 2010, in motiv.; Cass. n. 14197 del 2013; Cass. SU n. 18725 del 2017 in motiv.) Non c´è stato alcun dubbio per i giudici di legittimità che la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di un conto presso un istituto di credito, è da qualificare come donazione indiretta qualora detta somma, all´atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l´arricchimento senza corrispettivo dell´altro cointestatario: a condizione, però, che sia verificata l´esistenza dell´animus donandi, consistente nell´accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
Con riferimento all´accertamento dell´elemento dell´animus donandi, la Corte ha poi evidenziato che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che anche per la prova dell´esistenza di tale elemento debba farsi ricorso a prove che rivestano la forma scritta. Infatti i giudici di legittimità hanno sostenuto che "nella donazione indiretta, la liberalità si realizza, mediante il compimento di uno o più atti che, conservando la forma e la causa che è ad essi propria, realizzano, in via indiretta, l´effetto dell´arricchimento del destinatario, sicchè l´intenzione di donare emerge non già, in via diretta, dall´atto o dagli atti utilizzati, ma solo, in via indiretta, dall´esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne abbia interesse".
Per tali motivi la Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d´appello di Roma.
Si allega sentenza
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