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La Consulta invita il Parlamento a rivedere il limite delle sei mensilità in caso di licenziamento illegittimo.

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L'indennità stabilita nell'ipotesi di datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970, non attua quell'equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria di un'efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi. Si deve riconoscere, pertanto, l'effettiva sussistenza del vulnus denunciato dal rimettente e si deve affermare la necessità che l'ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti.  

E' quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.  183 depositata il 22 luglio scorso.

La vicenda

Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che regola l'indennità spettante nel caso di licenziamento illegittimo intimato da datori di lavoro che non possiedono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento).

Secondo il rimettente, la predeterminazione dell'indennità stabilita nell'ipotesi di datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970, sarebbe stata affetta da alcune disarmonie traenti origine, per un verso, dall'esiguità dell'intervallo tra l'importo minimo e quello massimo dell'indennità e, per altro verso, dal criterio distintivo individuato dal legislatore, che si incardina sul numero degli occupati.

Quanto al primo profilo, la Consulta ha rilevato che un'indennità costretta entro l'esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l'esigenza di adeguarne l'importo alla specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un'efficace deterrenza, che consideri tutti i criteri rilevanti enucleati dalle pronunce di questa Corte e concorra a configurare il licenziamento come extrema ratio.

Quanto al secondo profilo, la Corte Costituzionale ha evidenziato che il limitato scarto tra il minimo e il massimo determinati dalla legge conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei dipendenti, che, a ben vedere, non rispecchia di per sé l'effettiva forza economica del datore di lavoro, né la gravità del licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili per una liquidazione del danno che si approssimi alle particolarità delle vicende concrete.

Invero, ha continuato la Consulta, in un quadro dominato dall'incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari.

Dunque, secondo il giudice della Costituzione, il criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde realmente all'esigenza di non gravare di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli. Il limite uniforme e invalicabile di sei mensilità, che si applica a datori di lavoro imprenditori e non, opera in riferimento ad attività tra loro eterogenee, accomunate dal dato del numero dei dipendenti occupati, sprovvisto di per sé di una significativa valenza.

Un sistema siffatto non attua quell'equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria di un'efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte Costituzionale ha riconosciuto l'effettiva sussistenza del vulnus denunciato dal rimettente ed ha conseguentemente affermato la necessità che l'ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti.

In conclusione, pur dichiarando l'inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale, la Corte ha affermato che un ulteriore protrarsi dell'inerzia legislativa non sarebbe tollerabile e la indurrebbe, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente.

 

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