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La Cassazione ci ripensa, Fisco può qualificare redditi "in nero" versamenti su C/C di autonomi e dipendenti, in arrivo controlli a tappeto?

Con una sentenza depositata una settimana prima di Ferragosto, la Corte Suprema di Cassazione ci ripensa. Si ritorna all´antico: tutti i versamenti su conto corrente compiuti da professionisti e dipendenti autorizza il Fisco a qualificarli quali redditi in nero se non giustificati dal contribuente. In arrivo quindi controlli a tappeto sulle singole posizioni. Ecco il quadro dopo la sentenza del 8 agosto in questo commento. Pubblicheremo il testo integrale della sentenza non appena disponibile.
Le somme versate sul conto corrente del professionista o del privato possono essere accertate dall´Agenzia delle entrate come redditi in «nero», salvo che non si riesca a provare la provenienza dei fondi.
Al contrario, i prelievi fatti dal proprio conto bancario non possono mai fornire una presunzione di evasione sufficiente a giustificare un accertamento.
È questo al momento lo stato dell´arte nell´intricata vicenda relativa all´applicazione dell´articolo 32, primo comma, n. 2 del dpr 600.
Con una sentenza depositata a gennaio 2017 la Cassazione ha stabilito che i versamenti in conto corrente hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale anche nei confronti dei privati. In pratica le indagini finanziarie possono essere eseguite nei confronti di tutte le persone fisiche, comprese quelle non titolari di reddito d´impresa o di lavoro autonomo, limitatamente ai soli versamenti. Infatti, il riferimento della norma ai «ricavi» e alle «scritture contabili», secondo la Suprema corte, non può impedire all´Agenzia delle entrate di presumere che i versamenti bancari costituiscano maggior reddito, in base a un semplice principio di ragionevolezza.
Con la sentenza depositata l´8 agosto 2017, invece, la Cassazione smentisce i propri orientamenti precedenti dettando una nuova linea interpretativa in materia di accertamento presuntivo nei confronti dei lavoratori autonomi.
Il problema nasce a causa della legge finanziaria del 2005 che aveva modificato la norma sull´accertamento rendendola applicabile anche ai redditi di lavoro autonomo. La Corte costituzionale, con una sentenza del 2014 ha dichiarato però l´illegittimità di questa estensione, cancellando quindi l´equiparazione tra i movimenti bancari delle imprese e quelli dei professionisti.
Quindi mentre i primi possono costituire una presunzione di evasione (sia i prelievi, sia i versamenti), i secondi non più. Da notare che, dopo questa sentenza della Consulta, l´Agenzia delle entrate non ha smesso di imputare a reddito i prelievi e i versamenti dei professionisti, ma le cause arrivate in Cassazione hanno quasi sempre visto annullate le pretese del fisco.
Di fatto si è imposta l´interpretazione che né i prelievi né i versamenti dei professionisti possano costituire una presunzione di maggior reddito accertabile. Fino a pochi giorni fa.
Con la sentenza depositata l´8 agosto, invece, i giudici del Palazzaccio compiono un´analisi più severa della pronuncia della Corte costituzionale del 2014 per arrivare alla conclusione che, se è vero che una semplice lettura del dispositivo della sentenza di illegittimità della norma del 2005 sembra eliminare del tutto la presunzione di evasione relativa ai versamenti e ai prelievi non giustificati dei professionisti, tuttavia una lettura attenta delle motivazioni della stessa sentenza va in direzione contraria.
Scrivono infatti i giudici della Consulta che è «arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati a investimento nell´ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di reddito». Nelle motivazioni non si accenna mai ai versamenti.
I giudici della Suprema corte, con una bella acrobazia interpretativa hanno perciò interpretato la sentenza della Consulta nel senso che, pur avendo dichiarato illegittima l´estensione ai compensi dei professionisti delle presunzioni di evasione, tuttavia tale presunzione continua a sussistere per i versamenti in conto corrente.
Una conclusione che potrebbe anche avere una sua logica fattuale, ma che fa dire alla Corte costituzionale quello che questa non ha detto. Anche perché, non solo la Consulta aveva eliminato la norma che estendeva questo tipo di presunzioni ai compensi dei professionisti, ma la stessa operazione era poi stata fatta dal legislatore con l´articolo 7 quater del decreto legge fiscale di fine 2016 (n.193). Ora questa equiparazione viene reintrodotta, anche se solo per i versamenti, per via giurisprudenziale, a testimonianza che le vie del diritto, come quelle del Signore, sono infinite.
Scritto da Marino Longoni, pubblicato su Italia Oggi del 14 agosto 2017. La foto e del medesimo periodico.

 

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