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Interesse ad impugnare e sentenza di prescrizione

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Con la sentenza in commento, depositata il 16 maggio 2019, n. 21499, la Corte affronta il tema dell'interesse ad impugnare in materia di stupefacenti.

Nel caso di specie nei confronti dell'imputato veniva pronunciata sentenza di intervenuta prescrizione del reato ascrittogli.

Era accusato di aver detenuto 13 involucri di hashish pari ad 87 dosi medie singole.

Ricorreva l'imputato ritenendo che la sentenza fosse erronea e affetta da vizio di illogica motivazione, in quanto, a suo dire, sussistevano gli elementi per la sua assoluzione.

In particolare l'imputato lamentava che la Corte di appello, avendo riformato la sentenza assolutoria di primo grado su impulso del pubblico ministero, non avesse correttamente e adeguatamente motivato il suo revirement.

Rilevava infatti l'imputato che il materiale probatorio posto alla base del giudizio di primo e secondo grado fosse il medesimo e che dunque, i giudici di seconde cure avrebbero dovuto adottare una motivazione- quanto meno – rafforzata per poter contraddire i giudici di primo grado.

La Corte rigetta il ricorso ritenendolo palesemente infondato e pertanto inammissibile.

E' principio pacifico quello per il quale si possa ricorrere anche contro una sentenza che ha dichiarato la prescrizione quando dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare qualsivoglia effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca la disamina.

La corte ricorda altresì che tale interesse deve essere attuale e concreto "correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente". 

Dopo questa premessa in punto di diritto, i giudici ripercorrono il percorso logico motivazione dei giudici di primo grado che avevano ritenuto non vi fossero elementi per una condanna al di là di ogni ragionevole dubbio e che avevano basato la propria decisione sulle dichiarazioni rese dallo stesso imputato.

Quest'ultimo aveva dichiarato che la sostanza stupefacente era destinata unicamente alla cura della patologia depressiva da cui era affetto conseguente all'infezione da meningoencefalite effettivamente contratta e che lo aveva costretto all'immobilità per due anni.

I giudici della Corte di appello, invece, avevano ritenuto che altri elementi, quali l'elevato quantitativo - che non poteva rappresentare una scorta-, le condizioni economiche dello stesso - che non potevano giustificarne l'acquisto per uso personale - e il confezionamento in dosi contenute in involucri nascosti non potevano rappresentare una riserva personale.

Peraltro, la Corte, derubricato il fatto all'ipotesi del comma 5 dell'art. 73, aveva poi dichiarato l'intervenuta prescrizione.

In conclusione, ritenuto anche che l'imputato non aveva rinunciato alla prescrizione e pertanto non aveva interesse alla ripetizione dell'intero processo, riteneva manifestamente infondato il ricorso e lo dichiarava inammissibile. 

 

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