Il lavoratore che pone in essereuna condotta rischiosa, scegliendo arbitrariamente di discostarsi dall´ attività lavorativa tipica cheordinariamente svolge, non può chiedere risarcimento per l´infortunio che ne deriva.
Così ha sentenziato la I sezione Civile della Cassazione, con la n. 13885/2017, depositata lo scorso 1°Giugno.
Un lavoratore (operaio modellista), si trovava a scavalcare il parapetto del tetto sovrastante al reparto produttivo aziendale. A seguito di tale gesto altamente pericoloso, assolutamente estraneo alle sua mansioni, e di cui volontariamente aveva preso l´iniziativa, subiva un danno alla salute.
L´uomo presentava per questo, presso il Tribunale di Treviso, domanda di ammissione alla stato passivo del fallimento della SpA, ai fini dell´ottenimento del risarcimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro.
In primo grado la richiesta veniva rigettata sulla base di una motivazione logica e lineare. Non avendo infatti, il lavoratore, prova di una direttiva con la quale avrebbe ricevuto l´ordine di tenere quella azzardata condotta, priva di fondamento sarebbe stata una eventuale imputazione alla società della responsabilità per il danno subito dal dipendente.
Da tale osservazione non si discostava la Corte d´Appello di Venezia.
Il motivo del ricorso che l´uomo presentava successivamente in Cassazione, aveva come fulcro proprio tale considerazione, e cioè che ritenendo decisiva la prova dell´esistenza di una direttiva o di un ordine a porre in essere quel comportamento, i giudici di merito avevano commesso un errore; come corredo, l´avere omesso di esaminare un fatto, vale a dire la prevedibilità del comportamento tenuto dal ricorrente, da cui sarebbe derivato l´obbligo del datore di lavoro di porre in essere tutte le cautele necessarie a tutelarne la salute, insistendo nel negare in capo alla sua condotta, l´etichetta di "eccentrica".
La sentenza della Cassazione reca in sé un ormai consolidato principio, che fa luce su chi, in tema di infortuni sul lavoro, sia tenuto a provare cosa. Difatti, mentre in capo al lavoratore che asserisce di aver subito un danno alla salute, grava l´onere di provare l´esistenza di tale danno, la nocività dell´ambiente di lavoro e conseguentemente il nesso di causalità tra l´uno e l´altro, il datore di lavoro è tenuto a dar prova di avere adottato tutte le misure necessarie ad evitare il danno (Cass. 20 febbraio 2006, n. 3650) , essendo sempre valido il principio secondo cui, se il lavoratore tiene un comportamento singolare e difforme rispetto alle attività cui è tenuto, egli non ha diritto ad alcun risarcimento, assodato che il tal caso, di nesso di causalità, non è più dato parlare.
Nella fattispecie, appurata l´estraneità del comportamento del lavoratore rispetto alle sue mansioni, (incaricato della apertura dei cancelli, del sistema di allarme, del controllo di porte e uffici), che ha fatto venir meno l´ "occasione di lavoro" , (concernente un fatto ricollegabile al rischio specifico connesso all´ attività cui è preposto), in quanto il rischio che ne derivava era generato da una scelta arbitraria dello stesso, la Corte rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.