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Infedeltà del coniuge: quando porta al risarcimento del danno?

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Con la pronuncia n. 26383 dello scorso 19 novembre in tema di adulterio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, pur confermando l'addebito della separazione ad una moglie infedele, ha rigettato la richiesta di risarcimento danni avanzata dal marito che aveva sofferto, a causa del comportamento fedifrago della donna, di una grave forma depressiva.

Si è difatti precisato che "ai fini del risarcimento del danno da illecito endofamiliare, è pur sempre necessario che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale".

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Salerno che, pronunciandosi sulla separazione personale dei coniugi, rigettava la domanda di addebito proposta dal marito, che aveva lamentato altresì – a causa del comportamento fedifrago della donna – l'insorgenza di una grave forma depressiva oggetto di una richiesta di risarcimento danni, anche questa rigettata. 

 Il marito, appellando la pronuncia dinnanzi alla Corte d'appello di Salerno, riusciva ad ottenere l'addebito della separazione alla moglie: difatti, nel corso dell'istruttoria era emerso che, quale causa determinante della intollerabilità della convivenza matrimoniale, era stata proprio l'infedeltà della donna.

I giudici di appello, tuttavia, rigettavano la domanda risarcitoria proposta dall'uomo, per non avere l'appellante provato il danno ingiusto e il nesso causale con la condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale, essendo la dedotta depressione di cui egli soffriva riferibile alla separazione in sé piuttosto che al tradimento della moglie.

Il marito, ricorrendo in Cassazione, rilevava che la Corte territoriale avesse errato nel rigettare la richiesta di risarcimento danni avanzata e, a tal fine, eccepiva violazione di legge, vizi motivazionali, travisamento delle prove e delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.

Ribadiva, infatti, come erano stati provati tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno da illecito endofamiliare, in conseguenza della violazione da parte della moglie dei doveri coniugali, che aveva determinato in lui uno stato depressivo, verificatosi subito dopo l'allontanamento della moglie dalla casa familiare.

La Cassazione non condivide la posizione del ricorrente.

 In punto di diritto la Corte ricorda come sia un principio di diritto acquisito nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva.

Tuttavia, ai fini del risarcimento del danno da illecito endofamiliare, è pur sempre necessario che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale.

In particolare, è oggetto di accertamento e valutazione di fatto riservati al giudice di merito quello di valutare se tale condizione di afflizione superi la soglia di tollerabilità e si traduca nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto.

Passando ad analizzare il merito del ricorso, la Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente e ritiene inammissibili i motivi prospettati in quanto gli stessi – risolvendosi nella sollecitazione di un nuovo accertamento di merito sui presupposti della pronuncia di risarcimento danni – impongono l'esecuzione di un nuovo accertamento di fatto precluso in sede di legittimità.

Gli Ermellini evidenziano, infine, come la sentenza impugnata abbia fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali e il giudice di merito, con valutazione insindacabile per i motivi sopra analizzati, abbia ritenuto che nel caso di specie non ricorresse quella particolare condizione di afflizione necessaria per l'accoglimento della richiesta risarcitoria, posto che la depressione era sorta non a causa dell'infedeltà della moglie ma per essersi, quest'ultima, allontanata dalla casa familiare.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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