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Indennizzo per irragionevole durata del processo, SC: “Il saggio degli interessi non può essere concordato dalle parti”

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Con l'ordinanza n. 8050 pubblicata lo scorso 21 marzo, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha fornito importanti precisazioni in merito alla determinazione degli interessi dovuti sulla somma capitale di condanna per l'irragionevole durata del processo, escludendo che, in tal caso, in applicazione dell'art. 1284, comma 4, le parti possano accordarsi sul saggio d'interesse o sulle conseguenze dell'inadempimento.

Si è difatti specificato che "l'obbligazione pecuniaria derivante dalle altre fonti indicate nell'art. 1173 c.c. – quale l'obbligazione indennitaria dovuta dallo Stato in dipendenza dell'eccessiva durata di un procedimento giudiziale a sensi della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo – è determinata, per la stessa strutturazione della disposizione legislativa che la prevede, a seguito dell'apposito procedimento giudiziario, sicché non risulta ipotizzabile la necessaria possibilità per le parti di disciplinare pattiziamente le conseguenze dell'inadempimento".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal deposito di un ricorso ex legge Pinto, al fine di ottenere l'equa riparazione per l'irragionevole durata di un fallimento durato oltre 30 anni: in particolare, il creditore chiedeva un risarcimento per danno non patrimoniale pari a euro 23.250,00 (ovvero euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di eccessiva durata ed euro 1.000,00, per i successivi ventuno), oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento.

Con decreto, la Corte di Appello di Ancona ingiungeva al Ministero della Giustizia di pagare, a titolo di equa riparazione, la somma di euro 1.463,93, (importo pari alla conversione in euro della somma capitale ammessa, in lire, al passivo) oltre interessi legali dalla pronuncia e spese di lite.

L'importo dell'indennizzo veniva confermato a seguito dell'opposizione proposta dal Ministero; tuttavia, la Corte di Appello rideterminava la misura degli interessi, con decorrenza dal deposito del ricorso in monitorio e fino al saldo. 

Ricorrendo in Cassazione, il creditore censurava la sentenza impugnata per aver ancorato il quantum di risarcimento al valore della somma capitale ammessa al passivo. Il Ministero della Giustizia, con controricorso, si doleva per essere stata condannata al pagamento degli interessi ex art. 1284, comma 4, c.c., dalla domanda giudiziale; a sostegno del proprio assunto evidenziava che la liquidazione degli interessi non poteva avvenire ai sensi del citato quarto comma.

La Cassazione non condivide la censura prospettata dal ricorrente e accoglie, di converso, il controricorso presentato dal Ministero della Giustizia.

Gli Ermellini ribadiscono la correttezza della decisione di merito nella parte in cui ha riconosciuto, quale importo risarcibile, una somma pari al valore della causa: il sistema sanzionatorio delineato dalla legge n. 89 del 2001 si fonda, infatti, non sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali; ne deriva che l'indennizzo del danno da durata irragionevole della lite riguarda un diritto la cui violazione, di natura morale, non può eccedere quello stesso valore economico che, essendo in bilico, provoca nella parte in causa l'ansia da attesa.

In relazione alla liquidazione degli interessi, la sentenza in commento ricorda come, ai sensi del comma 4 art 1284 c.c., se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello  previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

Tale disposizione sembra avere una portata applicativa del tutto identica a quella di cui all'art. 1224 c.c., il quale opera il richiamo agli interessi legali ed espressamente prevede il rispetto del saggio d'interesse superiore a quello legale pattuito dalle parti. 

La Corte specifica, sul punto, che – per evitare che il quarto comma dell'art. 1284 appaia un'inutile ripetizione della disciplina in tema di danni da inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie portata nell'art 1224 c.c. – è necessario delimitarne l'ambito applicativo: deve quindi ritenersi che il saggio d'interesse legale stabilito nell'art 1284, comma 4, c.c. si applichi unicamente alle obbligazioni pecuniarie che trovano la loro fonte genetica nel contratto e, più precisamente, esclusivamente quando la lite giudiziale ovvero arbitrale ha ad oggetto l'inadempimento di un accordo contrattuale anche in relazione alle relative obbligazioni restitutorie.

Più nel dettaglio, il saggio di interessi previsto nel quarto comma – ancorato a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e, in quanto tale, molto più elevato degli interessi legali di cui al comma 1 del medesimo articolo 1284 – si collega all'avvio della lite giudiziale o arbitrale per inadempienza ad una obbligazione pecuniaria derivante da qualsiasi fonte, con l'evidente scopo di scoraggiare l'inadempimento e render svantaggioso il ricorso ad inutile litigiosità.

Ne deriva che la norma di cui all'art 1284, comma 4, c.c. disciplina il saggio degli interessi legali - e come tali dovuti automaticamente senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza - applicato a seguito d'avvio di lite sia giudiziale che arbitrale, in correlazione ad obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti.

Viceversa in relazione alle obbligazioni pecuniarie derivanti dalle altre fonti indicate nell'art. 1173 c.c., quale l'obbligazione indennitaria dovuta dallo Stato in dipendenza dell'eccessiva durata di un procedimento giudiziale, detta disciplina non risulta applicabile poiché nemmeno in astratto è possibile ipotizzare un previo accordo tra le parti interessate circa il saggio d'interesse o le conseguenze dell'inadempimento.

In conclusione la Cassazione cassa il decreto adottato dalla Corte d'appello in relazione alla statuizione afferente il tasso d'interesse dovuto dall'Amministrazione in rapporto alla somma capitale di condanna e, decidendo nel merito, dispone che sulla somma capitale dovuta dall'Amministrazione ricorrente dalla domanda corrono gli interessi legali ex art 1284 comma 1 c.c. Attesa la assoluta novità della questione trattata e dei principi affermati, le spese dell'intera lite vengono compensate integralmente tra le parti. 

 

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