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Incertezza nella diagnosi di una malattia, Cassazione: “Non rappresenta un problema tecnico di speciale difficoltà”

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Con l'ordinanza n. 25876 depositata lo scorso 16 novembre, la III sezione civile della Cassazione – chiamata a esaminare la responsabilità di un infermiere del 118 che, a causa di alcune difficoltà interpretative nell'accertare i sintomi di un paziente, gli somministrava una terapia errata – ha escluso che potessero qualificarsi quale problema tecnico di speciale difficoltà le incertezze interpretative avanzate dall'infermiere sulla crisi del paziente, essendo piuttosto una complicanza insorta nel corso dell'intervento.

Si è infatti ritenuto che la mera difficoltà del quadro sintomatologico non è di per sé capace, in mancanza di altre circostanze, di ascendere allo stadio del problema tecnico di speciale difficoltà.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla richiesta di risarcimento di tutti i danni avanzata da un uomo, già affetto da diabete mellito, che – a causa dell'errata somministrazione di insulina da parte di un infermiere del servizio "118" – entrava in coma ipoglicemico, cui faceva seguito una patologia di sindrome amnesica anterograda.

Nel corso della CTU disposta in primo grado erano state accertate le indubitabili difficoltà interpretative della crisi del paziente, che presentava un quadro compatibile con il coma iperglicemico; tuttavia, secondo il consulente, sia che il paziente avesse versato in coma iperglicemico sia che avesse versato in coma ipoglicemico, comunque, in considerazione del comprovato coma ipoglicemico riscontrato presso l'ospedale, la somministrazione di insulina era apparsa una scelta errata, posto che o l'ipoglicemia era stata provocata da un eccessivo quantitativo di insulina o il coma era stato, fin dall'inizio, ipoglicemico e, di conseguenza, la terapia non adeguata. 

 Il Tribunale di Rieti accoglieva, quindi, la domanda, condannando la ASL al pagamento della somma di euro 262.600,00.

La Corte d'Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado, respingendo l'appello proposto dall'azienda sanitaria.

L'azienda ospedaliera, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, comma 2, 2236 e 2697 c.c., per non aver il giudice di appello considerato la speciale difficoltà dell'intervento così come era stata accertato dallo stesso CTU.

Alla luce di tanto, la ricorrente sosteneva che il danno andava escluso per colpa lieve e che l'infermiere della AUSL aveva tenuto una condotta del tutto coerente alla sintomatologia del paziente.

La Cassazione non condivide le censure rilevate.

La Corte evidenzia come il problema tecnico di speciale difficoltà di cui all'art. 2236, in base al quale la responsabilità del professionista è limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave, ricomprende non solo la necessità di risolvere problemi insolubili o assolutamente aleatori, ma anche l'esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media, o che non siano ancora adeguatamente studiati dalla scienza; diversamente, la mera difficoltà del quadro sintomatologico non è di per sé capace, in mancanza di altre circostanze, di ascendere allo stadio del problema tecnico di speciale difficoltà.

 La giurisprudenza ha anche precisato che, nel campo medico, il problema tecnico di speciale difficoltà non è identificabile con la mera complicanza, la quale ben può ricorrere in un intervento di natura routinaria, salvo la prova da parte del sanitario della presenza del problema tecnico di speciale difficoltà.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione esclude che possano qualificarsi quale problema tecnico di speciale difficoltà le incertezze interpretative avanzate dall'infermiere sulla crisi del paziente, essendo piuttosto una complicanza insorta nel corso dell'intervento.

Gli Ermellini evidenziano, infatti, come nel corso del giudizio di merito si era accertato che l'incertezza dell'infermiere aveva rappresentato una mera complicanza: la somministrazione di insulina è stata difatti valutata in modo indipendente dall'interpretazione della crisi del paziente, avendo il CTU precisato che o il coma ipoglicemico, in cui il paziente versava al momento dell'ingresso nell'ospedale, era stato provocato da un eccessivo quantitativo di insulina o il coma era stato, fin dall'inizio, ipoglicemico e, di conseguenza, la terapia non era stata adeguata. Alla stregua di tale giudizio di fatto, reputando la sintomatologia compatibile con un coma iperglicemico, secondo quanto sarebbe apparso in un primo momento, il quantitativo di insulina somministrato sarebbe stato eccessivo.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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