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Avvocato: responsabile se fa prescrivere l’azione cambiaria

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Con l'ordinanza n. 13875 dello scorso 6 luglio, la III sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità professionale di un legale per non avere adeguatamente coltivato l'azione cambiaria nei confronti dell'avallante, così rinunciando ad azionare le cambiali e provocando un rilevante danno al proprio cliente.

Si è difatti specificato che in applicazione dei principi dettati dall'art. 2236 c.c. e art. 1176 c.c., comma 2, l'avvocato deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità dell'avvocato medesimo nei confronti del suo cliente a meno di dolo o colpa grave.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'instaurazione di un giudizio per responsabilità professionale nei confronti di un legale, con contestuale condanna al risarcimento dei danni derivanti dall'espletamento del mandato professionale conferitogli.

In particolare il cliente agiva in giudizio contro l'avvocato per aver costui consentito che, nell'ambito di una serie di azioni giudiziarie di condanna ed esecutive, affidategli in forza di rituale mandato professionale, maturasse la prescrizione dell'azione cambiaria con riferimento a ventisei titoli, con conseguente depauperamento derivante dall'impossibilità di recuperare l'intero ammontare del credito vantato nei confronti del debitore. 

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda, ritenendo maturata la prescrizione decennale, in quanto il danno era già acclarato nel 2000 mentre l'azione giudiziaria era stata proposta dal cliente nel 2014, ed era stata preceduta da altri atti interruttivi effettuati solo nello stesso anno.
La Corte di Appello di Roma, respinta l'eccezione di prescrizione, condannava il legale al risarcimento dei danni, determinati in oltre Euro novantamila, gravandolo delle spese del doppio grado di giudizio.

Ricorrendo in Cassazione, il professionista censurava la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., eccependo come, nel caso di specie, vi fossero questioni di speciale difficoltà da dover risolvere.

La Cassazione, adita dal legale, conferma la decisione impugnata, cogliendo l'occasione per specificare alcuni aspetti relativi alla responsabilità professionale.

La Corte ricorda che in applicazione dei principi dettati dall'art. 2236 c.c. e art. 1176 c.c., comma 2, l'avvocato deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità dell'avvocato medesimo nei confronti del suo cliente a meno di dolo o colpa grave. 

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione nega che, nella particolare controversia portata alla sua attenzione, vi siano specifiche difficoltà: il legale, pur richiamando nell'indicazione delle norme asseritamente violate l'art. 2236 c.c., non ha indicato in alcun modo quali sarebbero stati i problemi di speciale difficoltà che avrebbe dovuto risolvere nel caso di specie, sicché il motivo di riesame, limitandosi a indicare una diversa valutazione della diligenza professionale esigibile dall'avvocato, è incensurabile in sede di legittimità.

Gli Ermellini specificano infatti che l'accertamento sulla sussistenza o meno di problemi tecnici di speciale difficoltà – che l'art. 2236, configura quali presupposti ai fini della limitazione del professionista (non solo di quello legale) alla responsabilità nelle sole ipotesi di dolo e di colpa grave – è rimessa al giudice di merito.

Nel caso in scrutinio all'avvocato è stata contestata incuria e negligenza, in quanto è stato a lui ascritto di non avere adeguatamente coltivato l'azione cambiaria nei confronti dell'avallante, di averla fatta prima prescrivere e di avere poi rinunciato ad azionare le cambiali, in numero di ventisei, in un'esecuzione immobiliare.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. 

 

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