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Inadempimento del notaio, non è configurabile il concorso colposo del danneggiato

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Si torna a parlare di responsabilità del notaio. Questa volta la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13592 del 21 maggio 2019, ribadisce, con alcune precisazioni, quanto già stabilito dall'orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo cui, «in presenza di un inadempimento del notaio ai propri obblighi professionali "non è ontologicamente configurabile il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 cod. civ." » (Cass, n. 24733/2007).

Ripercorriamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa.

I ricorrenti sono eredi di un notaio, chiamato in causa dagli originari attori per i seguenti motivi:

  • al professionista, questi ultimi, hanno affidato l'incarico di redigere la dichiarazione di successione a fini fiscali in conseguenza del decesso della propria madre;
  • nel redigere tale atto, il notaio ha attribuito i) ad alcuni immobili, oggetto, della successione, un valore superiore rispetto a quello che sarebbe risultato dall'applicazione del "criterio di valutazione automatica introdotto dalla Legge, n. 154/88"; ii) ad altro immobile un valore inferiore rispetto a quello che sarebbe risultato applicando il suddetto criterio;
  • in conseguenza di tale errata attribuzione, gli originari attori sono stati destinatari di sanzioni pecuniarie da parte dell'amministrazione finanziaria.

Tali fatti sono alla base della chiamata in causa del notaio – come innanzi enunciato – e della richiesta nei confronti del professionista del risarcimento del danno consistito nel pagamento delle predette sanzioni. La domanda degli attori è stata accolta sia in primo che in secondo grado.

Gli eredi del notaio, nel frattempo deceduto, costituendosi in giudizio hanno proposto ricorso di cassazione, lamentando che nel caso di specie sussiste un concorso di colpa e non una responsabilità esclusiva del professionista.

Di diverso avviso sono i Giudici di legittimità.

Vediamo perché.

La decisione della SC.

Innanzitutto, la Suprema Corte chiarisce che il criterio di valutazione automatica degli immobili caduti in successione è stato introdotto dall'art. 8, comma 1, Legge, n. 880/1986, che ha aggiunto due commi (il quinto ed il sesto) all'art. 26 del d.P.R. n. 637/1972:

  • prevedendo l'esclusione da rettifica del valore degli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita;
  • prevedendo che il valore suddetto deve essere dichiarato in misura non inferiore ad un multiplo del reddito catastale, stabilito dalla legge.

Successivamente l'art. 12, commi 1 e 3 ter, del d.l. n. 70/1988 (convertito nella Legge n. 154/1988, cui hanno fatto riferimento i ricorrenti) ha esteso tale criterio anche ai trasferimenti di immobili ancora privi di rendita catastale ed alle successioni aperte prima del 1.7.1986. Tali norme sono state infine trasfuse nell'art. 34 D.Lgs. n. 346/1990.

Ciò premesso, i Giudici di legittimità passano a esaminare il focus della questione sottoposta alla loro attenzione, ossia la responsabilità del notaio. Secondo gli stessi, quando ci si affida a un professionista (di qualsiasi tipo), l'aspettativa è di ottenere una prestazione diligente ai sensi dell'articolo 1176, comma secondo, c.c.

Non è pensabile, a parere della Corte di cassazione, che il cliente debba eseguire un controllo sull'attività del prestatore d'opera, essendo tenuto solo a pretendere una prestazione svolta a regola d'arte. Sotto il profilo del compimento tecnico dell'attività del professionista, il committente non ha alcun obbligo di verifica e ciò a prescindere dal fatto che egli abbia o meno competenze o qualifiche professionali in materia (Cass, n. 2404/1983, n. 1/1976).

I Giudici di legittimità continuano, precisando, che con riferimento, poi, alla prestazione dovuta dal notaio, in forza di quanto sopra esposto, è pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui in presenza di un inadempimento di questo professionista non è possibile parlare di concorso colposo del danneggiato ai sensi dell'art. 1227 cod. civ. (Cass. n. 24733/2007).

D'altro canto, nel caso di specie, pur volendo ammettere – il che ovviamente non è per i motivi innanzi enunciati – che, date le competenze specifiche in materia urbanistica, edilizia e fiscale che gli originari attori posseggono, il danno avrebbe potuto essere evitato se questi ultimi «non avessero tenuto un comportamento negligente od omissivo», la decisione dei giudici di merito, ad avviso della Suprema Corte, sarebbe comunque da confermare. E ciò in considerazione del fatto che la questione del concorso di colpa del danneggiato è stata prospettata per la prima volta in sede di legittimità e anche se si trattasse di questione rilevabile d'ufficio non potrebbe farsi valere in ogni stato e grado del processo. In tali casi, infatti, se il Giudice di primo grado ha omesso di rilevarla, è onere della parte proporre appello per tale omissione. La mancata proposizione di esso, non consente di far rilevare la questione del concorso di colpa del danneggiato per la prima volta in Cassazione (Cass. Sentenza n. 1687/1969), come è avvenuto nella fattispecie in esame.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha confermato la sentenza impugnata. 

 

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