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Omissione atti d´ufficio, presupposto è una diffida. SC chiarisce suo tenore

I giudici della Sesta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 10595 dell´ 8 marzo 2018 hanno chiarito quando una richiesta rivolta alla PA costituisce il presupposto per la configurazione del reato di omissione di atti d´ufficio ex art 328 del codice penale.


I fatti
La persona offesa ricorreva avverso la sentenza emessa dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Patti a conclusione dell´udienza preliminare, con la quale si dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati, funzionari di un Comune, chiamati a rispondere del reato di cui all´art. 328 c.p. per avere ritardato di compiere, ovvero per non avere espresso il motivo del ritardo, in relazione alla istanza della parte offesa tendente a richiedere emissione di un provvedimento di rimborso di spese legali sopportate dalla stessa parte in occasione di un procedimento penale subito poi archiviato.

La ricorrente con il ricorso proposto deduceva la violazione di norma penale, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in quanto il GUP del Tribunale di Patti avrebbe errato nella interpretazione della norma penale, nel non ritenere sussistente la formale messa in mora con diffida ad adempiere.



Infatti secondo la difesa del ricorrente il Giudice non avrebbe valutato in maniera adeguata il tenore delle istanze che richiedevano reiteratamente di porre essere gli «adempimenti conseguenti» al rimborso delle spese legali.

Ragioni della decisione
Il secondo comma dell´art 328 stabilisce che il pubblico ufficiale o l´incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l´atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la richiesta scritta di cui all´art. 328, comma secondo, cod. pen., rilevante ai fini della integrazione della fattispecie,"deve assumere la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell´atto o l´esposizione delle ragioni che lo impediscono (Sez. 6, n. 40008 del 27/10/2010, brio, Rv. 248531; Sez. 6, n. 10002 del 08/06/2000, Spanò B, Rv. 218339; Sez. 6, n. 8263 del 17/05/2000, Visco, Rv. 216717)."

Secondo i giudici della Sesta Sezione, la richiesta avanzata alla P.A. pur se non contiene particolari formalità, deve comunque rappresentare una diffida o intimazione tale da costituire una messa in mora nei confronti della PA. e del responsabile del procedimento. Un´interpretazione corretta dell´art. 328, comma 2, cod. pen. necessita che la richiesta, con percepibile immediatezza, sia rivolta a sollecitare il compimento dell´atto o l´esposizione delle ragioni che lo impediscono; il reato si configura solo in presenza di tale presupposto, con il decorso del termine di trenta giorni senza che l´atto richiesto sia stato compiuto o senza che il mancato compimento sia stato giustificato.



Nel caso in esame, il GUP aveva ritenuto non fosse stata formulata una diffida mirata a raggiungere i risultati di cui all´art. 328, secondo comma, cod. pen., ma fosse stato effettuato un semplice invio di atti ai fini della futura istruttoria della pratica per assolvimento «degli adempienti conseguenti».
Per tali motivi il ricorso è stato rigettato e disposta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si allega sentenza
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