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"I praticanti li riconosci subito, pagano le bollette del dominus o gli portano la toga e ti fai tante domande...".

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 Un anno esatto fa consegnavo in segreteria la mia tesi di laurea: un'analisi normativa e applicativa sulla Legge 41/2016, condotta all'istituto di Medicina legale e delle Assicurazioni di Milano, in collaborazione con la Polizia Locale di Milano. Mi sentivo stanca ma molto orgogliosa del risultato: una tesi sperimentale di 14 mesi, a detta di tutti brillante, innovativa, sudata, sicuramente sarebbe stato un ottimo biglietto da visita da presentare in qualsiasi studio legale. Mi ero detta: non prenderò la strada più semplice con una tesi su Irnerio o scopiazzata su qualche sito internet, voglio diventare un bravo avvocato ed è giusto eccellere e distinguersi, il mondo del lavoro non è semplice, sicuramente varrà qualcosa essersi impegnati così tanto.

All'università ti insegnano questo. Non ti insegnano ad affrontare il mondo del lavoro, ti insegnano a pretendere da te stessa di essere un 30, perché di voti nella media ce ne sono troppi e quelli rimangono indietro. Già da lì avrei dovuto saperlo, la facoltà di giurisprudenza ti insegna ad essere un'ottima enciclopedia, non una lavoratrice.

La facoltà di giurisprudenza, in Italia, la mia, a Milano, ti insegna la conoscenza memonica di tutti i commi dell'art. 183 di procedura civile, ma non ti dice che dovrai saper scrivere un atto di appello o saper depositare un ricorso con la consolle del PCT. Quello lo pretenderà da te il tuo dominus, senza possibili attenuanti. Finito il mio percorso accademico, il 23 febbraio 2018, volevo prendere il primo volo per partire un po', per distrarmi, per prendermi del tempo per me, per fare quelle cose che non ho potuto fare durante la mia vita universitaria perché era una sessione continua, e io dovevo rispettarla. Ma anche in quel momento, il senso del dovere ha prevalso su ciò che volevo realmente fare. "Devi iscriverti all'ordine degli avvocati entro aprile, altrimenti farai l'esame tra due anni, non puoi perder tempo".E così ricomincia il cammino.

I neo-laureati sono bambini piccoli che, bombardati da un'infinità di nozioni – nati già stanchi – escono di casa per la prima volta senza la loro mamma. Chiedono a parenti, amici come si faccia un CV, come ci si prepari ad un colloquio, perché di tutte queste cose le università non parlano. E allora li vedi, in giro per il Duomo con i loro tailleur riciclati dalla seduta di laurea e le loro 24ore regalate da quell'amico di famiglia, sgambettare tra le scale di grandi studi legali, per i più ambiziosi, o per quello studio un po' più piccolo che hai trovato sul sito dell'Ordine degli Avvocati di Milano. Non sai cosa devi dire, cosa vuoi chiedere, ti domandi se ricordi ancora qualcosa di diritto commerciale o se servirà ripetere a memoria tutto il codice di procedura penale. Ma tu ormai sei lì, seduto, sai bene che si parla di Studi Legali e non di caporalato in una qualche regione depressa e lontana. Stai per offrire loro il tuo sapere, la tua figura. Andrà bene. E' ciò per cui hai studiato tanto. E così, ti ritrovi di fronte ad una persona che sembra aver dimenticato di aver indossato i tuoi stessi panni, non gliene frega nulla del tuo anno e mezzo di tesi o del tuo 25 in procedura civile con Taormina, le domande ricorrenti sono:" sei disponibile ad orari flessibili?"-"io posso darti massimo 250 euro al mese, dal secondo, il primo è di prova, ti va bene?". E allora tu ti senti quasi fortunata per quel "rimborso spese", come lo chiamano loro, "pensi che nel sud Italia, i praticanti neanche li pagano". E allora tu sorridi, gioisci, rispondi "si, certo che sono disponibile ad orari flessibili".

Ci si stringe la mano, ci si saluta, e per i più fortunati ci si rivede il lunedi, alle 08:45, ma tanto dovrai aspettare perché il tuo futuro dominus si sarà dimenticato di te e arriverà alle 15:00.

E i giorni passano, la prima settimana sei euforico, la seconda già ti chiedono di scrivere una citazione e tu non puoi rispondere che non sai farlo, perché come te ci sono altri mille praticanti fuori dalla porta pronti a prendere il tuo posto. Allora, ritornano le serate con la tazza di caffè vicino e quei codici che sembrano essere la tua Bibbia, ma perché speri ti aiutino in qualcosa. Tipo un miracolo. Ma quello non ti stanca, è la gavetta, tocca a tutti. Imparerai. Passa il secondo mese, controlli il conto in banca tramite l'app. Quel rimborso non è ancora arrivato. Allora prendi il libro di Diritto del Lavoro e ti chiedi se a te sarà garantito qualcosa, ma no, ti ricordi che sei un libero professionista. Devi avere coraggio. E allora senti la tua amica che ha studiato economia e che lavora in una società di consulenza, ti propone un viaggio per questa estate, ti dice che con il suo primo lavoro può pagarsi il volo e l'albergo.

Tu sorridi, annuisci, non prenoti. Tu non sai neanche se avrai il rimborso spese per quei giorni in cui il tribunale chiuderà. Continuano a passare i mesi e le ore si allungano, arrivo alle 09:00 e vado via alle 22:30. Il conto in banca è sballato, incomincia ad esserlo anche il tuo corpo.

I praticanti avvocati li riconosci subito. Alcuni li vedi alle poste pagare le bollette del dominus, altri stanno portando la toga dell'avvocato dopo l'udienza.

Ti chiedi perché quel tuo essere un Dottore in Giurisprudenza valga solo per richiedere un libretto di pratica in Tribunale o per sgobbare dodici ore al giorno. Se non più. E allora, i più determinati, i più coraggiosi, chi se lo può permettere economicamente e non, continua. Finisce la pratica, e sostiene l'esame.

L'esame, anche li, che fardello. Hai passato 18 mesi della tua vita a lavorare, ti sei iscritto all'albo degli avvocati, hai pagato, hai frequentato la scuola di preparazione all'esame spendendo ancora una volta un capitale, hai rinunciato ancora alle vacanze-per chi le abbia-perché dovevi studiare e poi sei lì, in mezzo ad un capannone con 10.000 persone a sostenere l'esame più incoerente, ingiusto, non meritocratico che ci sia.

Perché parliamoci chiaro, sappiamo tutti come va l'esame di Stato in Italia. Non si tratta mica di un esame superabile dai più studiosi; si tratta di una combinazione fatta di fortuna (nella correzione), luogo della prova, e altri tremiladuecento fattori che non faranno altro che determinare chi sarai per i prossimi anni. Lo faranno loro, nonostante tu abbia fatto di tutto per meritare quel titolo. Il mondo del praticante avvocato non è certamente paragonabile alla vita di coloro che cercano l'oro nelle miniere Africane. Abbiamo un tetto sopra la testa, è piacevole imparare e sentirsi utili. Ma non è giusto il modo in cui si percepisce e considera questo "mestiere".

Noi siamo sicuramente delle risorse da formare, da istruire, a volte facciamo tanti sbagli ma siamo qui per imparare. E siamo qui anche ad offrire le nostre dodici ore al giorno, la nostra presenza costante, i nostri sabati e a volte anche la nostra gentilezza quando ci trattate come i vostri segretari, non come vostri futuri colleghi. Perché è questo che siamo, e lo Stato Italiano dovrebbe iniziare a comprenderlo. Dovrebbe iniziare a comprendere che vanno puniti gli evasori in cassa integrazione apparente e premiati quei professionisti meritevoli delle stesse tutele di qualsiasi altro lavoratore.

Lo Stato Italiano ha l'obbligo di riformare tutto ciò che circonda la nostra categoria, che non è inferiore a nessuno. Siamo i "figli" di coloro che hanno scritto la storia dei nostri tribunali, siamo coloro che hanno scelto di mettersi al servizio della collettività per la tutela dei diritti, a volte anche gratuitamente. Ma siamo anche ragazzi dai 26 ai 30 anni che devono vivere la loro unica vita in modo normale, con due soldi in tasca per la pizza del sabato sera, o almeno con quelli per pagare l'affitto di casa; abbiamo necessità di riposare il fine settimane e di poter cenare a casa ad un orario decente senza perdere di vista le abitudini normali.

Abbiamo bisogno di avere il tempo per costruire i nostri rapporti sociali e di poterli vivere. Questo mondo, così difficile in quasi tutti i campi, sta sgretolando le nostre personalità, ci costringe a costruire rapporti virtuali e a sentirci insoddisfatti, falliti, non a vivere ma a sopravvivere. Noi non chiediamo benefici, chiediamo rispetto per ciò che anche voi, Avvocati di oggi, avete scelto di essere. Siamo Dottori in Giurisprudenza, liberi professionisti e come tale meritiamo di essere trattati.
Denise Cacciaguerra
(Fonte: Noi avvocati)

 

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