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"Ogni anno finiscono sotto processo 150mila persone che poi verranno assolte. Significa che nei trent'anni dall'entrata in vigore dal nuovo codice questa esperienza è toccata a cinque milioni di italiani". Massimo Terzi, 62 anni, in magistratura dal 1981, presidente del tribunale di Torino, ha deciso di andare controcorrente. E mentre i suoi colleghi in tutta Italia inauguravano l'anno giudiziario con le solite proteste sulle carenze di mezzi e senza uno straccio di autocritica, lui ha detto che il dramma vero sono i milioni di italiani che in questi anni sono stati mandati sotto processo senza prove, assolti dopo anni di attesa, di angosce e di sacrifici. Così non si può andare avanti, dice "perché non è conforme ai principi di democrazia". Vale solo per Torino? Neppure per sogno, A Venezia la presidente della Corte del distretto Ines Marini, fa saper che sono ben il 41 per cento le assoluzioni in primo grado monocratico, in perfetta linea con la situazione milanese e torinese. Riassume Terzi: "Proiettati su base nazionale, vuol dire avere ogni anno 150.000 persone, cioè un milione e mezzo in dieci anni, che attendono in media 4 anni dalla notizia di reato per essere assolti (assolti, non prescritti) all'esito del primo grado".
Ad ulteriore conferma dei numeri citati da Terzi, arrivano i dati raccolti dal sito "Errori giudiziari". Come avviene ogni anno, sono stati elaborati gli ultimi dati disponibili del Ministero dell'Economia: elementi che dimostrano come in Italia esista l'emergenza delle persone finite in carcere senza colpa.
Il numero di vittime continua a crescere senza sosta, così come il denaro che viene versato nei loro confronti a titolo di risarcimento o indennizzo. Solo nel 2017 sono finite in cella senza colpa 1013 persone. Negli ultimi 25 anni oltre 26mila vittime. È un dato sottostimato. Non considera, infatti, quanti subiscono una detenzione ingiusta ma non hanno avanzato domanda di indennizzo oppure non è stato loro riconosciuto. Si limita a quelli positivamente indennizzati. Un'emergenza di cui si parla poco. Intanto crescono i risarcimenti: lo scorso anno lo Stato ha pagato quasi 35 milioni, con un poco invidiabile record a Catanzaro che – per il sesto anno consecutivo – si trova tra i primi tre posti nella classifica dei distretti con il più elevato numero di risarcimenti. Secondo giudici e procuratori le centinaia di persone che finiscono in carcere ingiustamente ogni anno, e che per questo ricevono un risarcimento, rappresentano un "dato fisiologico", una sorta di inevitabile "danno collaterale" davanti alla mole di processi penali che vengono celebrati ogni anno nelle aule dei tribunali italiani.
Ma le conseguenze negative e inestimabili (e impossibili da risarcire) per le persone interessate, e per le loro vite private e professionali distrutte? E gli effetti psicologici gravissimi? Niente, come se non esistessero. E non pare importare nemmeno il fatto che più innocenti finiti senza colpa in custodia cautelare vuol dire più soldi spesi dallo Stato in risarcimenti per ingiusta detenzione, cioè denaro speso da tutti noi. È la giustizia capovolta di una politica incattivita, quella che ha invocato e approvato, con effetto dal 2020, lo stop alla prescrizione dopo il giudizio di primo grado. È la giustizia dei presunti colpevoli, evocata più volte da magistrati come Pier Camillo Davigo, quella che si fonda sulla funzione redentrice del pm e sul rafforzamento dei suoi poteri nel processo, sull'aumento delle pene e sulla dilatazione della legislazione speciale. E non importa se ciò significa negare ai perseguitati dai tempi biblici della "giustizia ingiusta" l'unica via d'uscita che restava loro per sottrarsi al calvario.
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«Di cosa ti occupi?». Una domanda che ci si sente rivolgere spesso. «Scrivo», la risposta audace del sottoscritto. «Ma no, intendevo dire: che lavoro fai?». Ecco, questa è la premessa. Sono veneto, di Jesolo, fin dal lontano 1959. Dopo un intenso vagabondare che negli anni mi ha visto avviare diverse iniziative imprenditoriali in Europa, ho messo momentanee radici a Busto Arsizio. Il mio curriculum include l’esperienza della detenzione, e non ho alcuna intenzione di nasconderlo perché la considero una risorsa che mi appartiene e mi ha arricchito. No, non mi riferisco ai soldi… Sono attento alle tematiche che riguardano la detenzione in ogni suo aspetto, nella convinzione che si possa fare ancora molto per migliorare il rapporto tra la società civile e il carcere. Ebbene sì, per portare a casa la pagnotta scrivo per alcuni periodici, tra cui InFamiglia, DiTutto, Così Cronaca, Adesso, Sguardi di Confine e Sport Donna occupandomi principalmente di sociale. Ho pubblicato Pane & Malavita per Umberto Soletti Editore. Amo la musica, la lettura e la cucina. Sono nonno e mi manca tanto il mare.