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Il maggior reddito di impresa familiare va accertato nei confronti dei familiari collaboratori dell’impresa?

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Riferimenti normativi: Art. 5 T.U.I.R. – Art. 2697 c.c.

Focus: In caso di accertamento ad un'impresa familiare il maggior reddito accertato deve essere riferito solo al titolare dell'impresa o "pro quota" anche agli altri familiari collaboratori che partecipano agli utili di impresa? Su ciò si è pronunciata la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia con la sentenza n.8959/3 del 06/11/2023.

Principi generali: L'impresa familiare è una ditta individuale in cui i familiari dell'imprenditore, quali il coniuge, i parenti entro il terzo grado o gli affini entro il secondo grado, collaborano continuativamente nello svolgimento dell'attività aziendale (art.230-bis c.c.). Da un punto di vista fiscale le quote di reddito spettanti ai collaboratori dell'impresa familiare vanno considerate come redditi di "puro lavoro" non assimilabili a quello di impresa, in quanto detti collaboratori non sono contitolari dell'impresa che ha natura individuale.

In particolare, l'art. 5, commi 4 e 5, del T.U.I.R. stabilisce che: "I redditi delle imprese familiari di cui all'art. 230-bis del c.c., limitatamente al 49% dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili". La giurisprudenza si è più volte pronunciata in merito alla legittimità degli accertamenti effettuati dall'Amministrazione finanziaria nei confronti delle imprese familiari. Ci si è chiesti, infatti, se il maggior reddito recuperato a tassazione possa essere accertato sia in capo al titolare dell'impresa che in capo agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili, considerato che per sua natura l'impresa familiare è una ditta individuale e che i familiari collaboratori non sono imprenditori.

Il caso: Un contribuente esercente l'attività di commercio al dettaglio di generi di Monopolio unitamente al coniuge ed alla sorella, ha impugnato dinanzi al giudice tributario di primo grado un avviso di accertamento, anno 2012, notificatogli dall'Agenzia delle Entrate, con il quale erano stati accertati maggiori ricavi derivati dall'attività di rivendita di tabacchi. Nel ricorso il contribuente ha eccepito che l'Amministrazione finanziaria aveva accertato il maggior reddito nei suoi confronti senza tener conto delle quote di partecipazione dei familiari che avrebbero comportato una quantificazione inferiore degli importi richiesti.

Il giudice di prime cure ha rigettato il ricorso sul presupposto che all'imprenditore si imputa il 51% dei redditi dell'impresa familiare solo per i redditi dichiarati ma non per quelli accertati dall'Amministrazione finanziaria. La sentenza è stata impugnata dal contribuente con appello dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, deducendo la stessa doglianza manifestata in primo grado. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado ha precisato che il reddito dell'impresa familiare va accertato solo nei confronti del titolare, che è l'unico obbligato a tenere le scritture contabili, ai sensi dell'art.13 del D.P.R.n.600/73, e la posizione degli altri familiari che hanno prestato il loro apporto sul piano lavorativo ha rilevanza esclusivamente nei rapporti interni. A tal proposito, sul punto la Suprema Corte ha precisato che "in caso di verifica fiscale nei confronti di un'impresa familiare, il maggior reddito imprenditoriale accertato è riferibile soltanto al titolare dell'impresa, per cui i maggiori redditi accertati non possono essere imputati ai familiari collaboratori dell'imprenditore, sebbene risultino titolari del diritto di partecipazione agli utili (Cass.sentt.n. 34222/2019 e n. 8582/2023)". Pertanto, alla luce di quanto esposto, l'appello è stato rigettato con condanna alle spese di giudizio.

 

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