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Il liquidatore di una società è responsabile per i debiti non pagati ai creditori?

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Riferimenti normativi: Art.2495 c.c.

Focus: Per i debiti non pagati da una società, posta prima in liquidazione e poi dichiarata fallita, può essere attribuita la responsabilità al liquidatore in assenza di qualsiasi elemento attivo da liquidare e ripartire? Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con ordinanza n.35640/2022 pubblicata il 5/12/2022.

Fatto: Nel caso di specie i creditori di una società in liquidazione, dichiarata poi fallita, avevano citato in giudizio i liquidatori della società perché i crediti vantati verso la società, già al momento della messa in liquidazione della s.r.l e definitivamente accertati in sede fallimentare, non erano stati soddisfatti né in fase di liquidazione né successivamente, in sede di procedura concorsuale, in quanto non vi era stato alcun accantonamento né era stata accertata l'incapienza dell'attivo. Pertanto, i creditori chiedevano al giudice che fosse accertata, ex art.2495 c.c., la responsabilità dei liquidatori con condanna degli stessi al pagamento in loro favore dell'importo corrispondente al credito non soddisfatto o di quello maggiore accertato in giudizio, oltre interessi e rivalutazione. I liquidatori convenuti in giudizio eccepivano la prescrizione dell'azione e l'infondatezza nel merito della domanda attorea poiché non era stato soddisfatto alcun credito per mancanza di attivo. Il Tribunale rigettava la domanda rilevando, dal bilancio finale, che la liquidazione della società risultava avvenuta senza alcun attivo per cui non sarebbe stato possibile soddisfare concretamente i creditori, iscritti o non al bilancio di liquidazione. Di conseguenza escludeva che il mancato pagamento dei crediti fosse da attribuire al comportamento illecito dei liquidatori, essendo imputabile esclusivamente all'insufficienza dell'attivo patrimoniale. 

Il Tribunale, altresì, rigettava la domanda subordinata dei creditori fondata sulla mancata proposizione dell'istanza di autofallimento quando era stata accertata l'incapienza dell'attivo. Ciò in quanto non risultava che, nel corso dell'attività di liquidazione volontaria, fosse stato pagato alcun creditore e la procedura fallimentare era stata chiusa comunque per mancanza di attivo. Quindi, mancava la prova che un'istanza di autofallimento, presentata in un tempo precedente dai liquidatori, avrebbe potuto consentire la soddisfazione del credito agli attori. Anche la Corte di appello, dinanzi alla quale la sentenza era stata impugnata, aveva rigettato l'appello. Di conseguenza i creditori hanno presentato ricorso in Cassazione per diversi motivi. Con il primo motivo hanno eccepito la violazione dell'art.2495, comma 2, c.c. Tale norma dispone che << dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti.. nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi>>. Secondo i ricorrenti la colpa dei liquidatori prescinde dalla sussistenza o meno di un residuo attivo, distribuibile all'esito della fase di liquidazione. Pertanto, accertato che essi non avevano iscritto tempestivamente tra le poste passive della società i crediti e non avevano accantonato fondi per il loro soddisfacimento, doveva essere dichiarata la loro responsabilità. Tale motivo è stato ritenuto inammissibile dalla Suprema Corte perché i ricorrenti non hanno provato, a fronte della totale mancanza di attivo, che non era stato redatto alcun piano di riparto a dimostrare l'esistenza di attività che avrebbero potuto essere recuperate o utilizzate con una dichiarazione di fallimento anteriore al 2010.

Con il secondo motivo di ricorso è stata, poi, dedotta la violazione degli artt.2697 e 2699 c.c. in quanto l'assenza di colpa dei liquidatori era stata fondata su una consulenza tecnica di parte non avvalorata da prove documentali adeguate, non prodotta ritualmente e contestata dai ricorrenti sin dal primo grado. Infatti, l'affermazione che nessun creditore era stato soddisfatto durante la liquidazione sarebbe stata smentita dalla circostanza che nel passivo della liquidazione al 31.12.2005 i debiti, iscritti nel bilancio dell'esercizio precedente, erano stati azzerati. Anche questo motivo è stato ritenuto inammissibile dalla Corte sia per quanto riguarda il richiamo all'art.2697 c.c., in quanto la valutazione in concreto delle prove esibite è riservata al giudice di merito e non può essere sottoposta al giudizio della Corte Suprema, che all'art.2699 c.c. volto a ottenere una nuova valutazione della prova rispetto a quella espressa dai giudici di merito. In particolare, in merito alla contestata consulenza tecnica di parte la Corte ha riconosciuto che essa costituisce una semplice allegazione difensiva priva di autonomo valore probatorio (Cass.n.1614/2022). La Corte d'Appello, infatti, non aveva fondato la sua decisione sulla consulenza tecnica di parte ma sulla valutazione diretta dei bilanci in atti, osservando che nel giudizio di primo grado i liquidatori avevano chiarito, senza che vi fosse stata alcuna allegazione contraria da parte degli appellanti, che la voce di attivo patrimoniale "rimanenze" era stata contabilmente azzerata perché relativa ad un contratto di appalto con una società cooperativa poi posta in liquidazione a sua volta. La posta, quindi, corrispondeva a crediti non esigibili. La Cassazione, in conclusione, ha ribadito che l'apprezzamento degli esiti istruttori è attività riservata al giudice di merito cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta insindacabile in sede di legittimità di quelle ritenute più idonee a fondare la sua decisione. Pertanto ha dichiarato il ricorso inammissibile.

 

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