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Il giudicato sull’impugnativa di licenziamento non incide sulla domanda di risarcimento da mobbing.

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La regola in base al quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile è dettata dall'articolo 2909 del codice civile allo specifico fine di assicurare la certezza del diritto.

In virtù di tale principio, il provvedimento contenuto nella sentenza del giudice acquista valore di regola incontestabile dei rapporti tra le parti e, ciò, non solo relativamente alle questioni decise in modo espresso, ma anche su ogni questione implicitamente connessa purché legata a quella principale da un rapporto indissolubile.

La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 22 febbraio 2024, n. 4726, ha affrontato il problema del rapporto tra giudicato formatosi sul rigetto della domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento e l'azione per mobbing, affermando che tra le due azioni non vi è alcun legame di indissolubilità e che, pertanto, il giudicato sull'una non incide sulla proponibilità dell'altra.


Il principio espresso.

E' vero che l'autorità del giudicato copre sia il dedotto, sia il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano premesse necessarie della pretesa e dell'accertamento relativo; tuttavia, la diversa natura dell'azione di impugnativa del licenziamento e di quella di risarcimento del danno da mobbing, così come la diversità del bene della vita alla cui tutela sono finalizzate tali azioni, non consentono di ravvisare l'unicità del credito che trova fonte nel rapporto di lavoro e che esclude la proposizione di separati giudizi in funzione di contrasto dell'abuso dello strumento processuale.

Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza del 22 febbraio 2024, n. 4726. 

Il caso.

La dipendente di una società cooperativa, con due distinte azioni, agiva per il riconoscimento, da un lato, della illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto e, dall'altro, per la condanna della cooperativa datrice al risarcimento del danno da mobbing.

L'azione volta al riconoscimento della illegittimità del recesso veniva rigettata e passava in giudicato.

Il giudice investito della domanda volta al risarcimento dei danni da mobbing, constatato il passaggio in giudicato del rigetto dell'impugnativa di licenziamento, dichiarava infondata anche la seconda domanda, senza nemmeno istruirla, ritenendola coperta dal giudicato costituito dall'ordinanza di rigetto dell'impugnativa del licenziamento, in base al generale principio in base al quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

Al riguardo la corte territoriale specificava che il superamento del periodo di comporto che aveva condotto al licenziamento era stato dedotto dalla lavoratrice quale manifestazione della condotta mobbizzante e che, quindi, la definitività del giudizio di impugnazione del licenziamento precludeva alla lavoratrice di far valere in un distinto giudizio un vizio che avrebbe inficiato il licenziamento (il superamento del periodo di comporto per una malattia causata, in definitiva, dall'omesso rispetto datoriale del diritto alla salute della dipendente), non rilevato, ma rilevabile già nella sede di impugnativa del licenziamento.

La decisione del tribunale veniva confermata, per gli stessi motivi, anche dal giudice dell'appello, pertanto la lavoratrice ricorreva in cassazione deducendo la violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., sulla base della ritenuta differenza tra i diritti azionati nei distinti giudizi di opposizione al licenziamento e di risarcimento del danno da mobbing. 

 La decisione della Cassazione.

Secondo il giudice di legittimità, la proposizione, in giudizi separati, dell'azione per mobbing, al quale il lavoratore assuma collegato il licenziamento, e quella di impugnativa di quest'ultimo, non comporta un frazionamento del credito - e ciò anche se il presupposto di fatto comune delle due azioni risieda nel denunciato mobbing -, in quanto le due azioni si presentano ontologicamente diverse: queste, infatti, non solo hanno distinta natura, ma sono poste a presidio di due distinti beni della vita.

Più nel dettaglio, chiarisce la Corte, quella per mobbing è un'azione di condanna volta a tutelare il bene della salute, mentre la seconda ha natura costitutiva - cui consegue, per legge, una condanna - ed ha ad oggetto la tutela del lavoro e del connesso status di lavoratore.

Tali differenze, prosegue il provvedimento, impediscono la formazione di un giudicato preclusivo tra il rigetto dell'impugnativa di licenziamento e la domanda di risarcimento del danno da condotte lesive della salute e della dignità nel corso del rapporto di lavoro.

E' vero – afferma la Cassazione - che l'autorità del giudicato copre sia il dedotto, sia il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano premesse necessarie della pretesa e dell'accertamento relativo, tuttavia, per aversi giudicato implicito è necessario che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, cioè che si tratti di questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile.

Nel caso oggetto di giudizio, invece, conclude il provvedimento, la diversa natura dell'azione di impugnativa del licenziamento e di quella di risarcimento del danno da mobbing (o, in generale, da condotte lesive di diritti del lavoratore nel corso del rapporto di lavoro, quantunque cessato), così come la diversità del bene della vita alla cui tutela sono finalizzate tali azioni, non consentono di ravvisare tale l'unicità del credito né un rapporto di dipendenza logica e fattuale.

La Corte ha, perciò, cassato la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d'Appello in diversa composizione, per la valutazione nel merito della "distinta" domanda di risarcimento del danno da mobbing.

 

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