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Il delitto preterintenzionale e le figure di responsabilità oggettiva

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Una delle tematiche più complesse per la giurisprudenza è da sempre quella relativa alla configurazione dell'omicidio preterintenzionale.

La problematica in questione coinvolge una serie di principi del nostro sistema penale, quale il principio di colpevolezza e della finalità rieducativa della pena.

Già da diversi decenni, il nostro diritto penale è stato disincrostato da tutte quelle norme ed impostazioni teoriche basate su una responsabilità oggettiva, ovvero da tutte quelle disposizioni che giustificavano una pena in base alla mera commissione\omissione di una condotta.

Infatti, proprio la responsabilità oggettiva si pone in palese contrasto con i seguenti principi portanti del nostro ordinamento: colpevolezza ex art. 27 Cost., art. 1 c.p., secondo cui per aversi responsabilità penale è necessaria l'integrazione dell'elemento oggettivo del reato ma anche di quello soggettivo costituito quanto meno dalla colpa; della funzione rieducativa ex art. 27 c. 3 Cost. il quale sancisce che ogni pena deve tendere alla rieducazione del condannato e, per giungere a tale obiettivo, questa deva essere sentita dall'agente come giusta e proporzionata.

Sarà quindi necessario vagliare l'ammissibilità del combinato disposto di cui agli artt. 584, 82 c.p., analizzandone i tratti fondamentali dei singoli istituti, natura, ratio, pena, alla luce dei predetti principi, al fine di non ricadere in ricostruzioni connotate da responsabilità pura/oggettiva.

L'omicidio preterintenzionale è regolato dall'art. 584 c.p. inserito nel Libro II, Titolo XII nei delitti contro la persona. In particolare, la norma in questione è una fattispecie a condotta vincolata in quanto presuppone la commissione dei delitti di cui agli artt. 581, 582 c.p. e che, dalla commissione di tali reati, derivi la morte di una persona come conseguenza non voluta dall'agente.

La norma in questione presidia il bene giuridico della salute con la conseguenza di un più severo trattamento sanzionatorio costituito dalla cornice edittale che va dal minimo di anni dieci al massimo di anni diciotto di reclusione, ed è prevista la procedibilità d'ufficio.

Prima di valutare l'elemento soggettivo dell'art. 584 c.p., è necessario delineare il nesso di causalità materiale tra l'evento lesioni\percosse e la morte del soggetto. Infatti, se l'evento morte si verifica per una causa diversa ed eccezionale, e quindi non riconducibile ai reati di cui agli artt. 581 e 582 c.p., non si porrà nemmeno la questione dell'integrazione dell'omicidio preterintenzionale. Il giudice, dopo aver accertato l'interruzione del nesso di causalità per una causa sopravvenuta che da sola a determinato l'evento ex art. 40 c.2 c.p., assolverà il soggetto agente perché il ''fatto non sussiste'' ex art. 530 c.1 c.p.p. Se il delitto presupposto ha condotto materialmente alla morte del soggetto, allora si porrà il problema dell'omicidio preterintenzionale.

Secondo una parte della giurisprudenza e della dottrina l'art. 584 c.p. prevederebbe una condotta intermedia tra l'omicidio doloso e colposo in quanto connotata da un elemento soggettivo che si pone a mezza via tra il dolo e la colpa. È necessario osservare che la natura di tale fattispecie è stata al centro di una serie di dibattiti giurisprudenziali.

Una prima impostazione tradizionale riscontra nell'omicidio preterintenzionale una ipotesi di dolo misto a responsabilità oggettiva pura. Secondo tale visione, infatti, la mera commissione delle condotte di lesioni e percosse dolose che hanno condotto all'evento ulteriore e non voluto, giustificherebbero da un lato il maggior rigore sanzionatorio e, dall'altro, l'addebito a titolo di dolo rispetto all'evento morte anche se non voluto dal soggetto agente.

Tale ricostruzione è stata aspramente criticata poiché non più in linea con i principi generali del diritto penale odierno che non ammettono in assoluto ipotesi di responsabilità oggettiva mascherata. A seguito della famosa sentenza della Corte Costituzionale del 1988, in rapporto al tema dell'ignoranza inevitabile della legge penale, è stato affermato il principio di diritto secondo cui è necessaria quantomeno la colpa per l'integrazione di una fattispecie penale. Alla luce delle predette considerazioni è emersa una seconda teoria che intravede nell'art. 584 c.p. una ipotesi di dolo misto a colpa; invero, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza l'omicidio preterintenzionale sarebbe una fattispecie complessa connotata da due elementi soggettivi differenti: il dolo rispetto al reato presupposto di percosse o lesioni; la colpa in relazione all'evento morte ulteriore e non voluto dall'agente alla luce dei canoni di prevedibilità ed evitabilità dell'evento.

Da ciò ne conseguirebbe che, per la configurazione del reato in esame, sarà necessaria una attenta valutazione delle circostanze conosciute dall'agente in rapporto al caso concreto.Di recente si è andata a consolidare una terza teoria che pone l'attenzione esclusivamente all'elemento soggettivo del dolo del reato presupposto a nulla rilevando le considerazioni in merito all'evento ulteriore. Invero la Corte di Cassazione, già dal 2012, ha affermato l'erroneità delle impostazioni del dolo misto a responsabilità oggettiva e del dolo misto a colpa in quanto è necessaria esclusivamente l'integrazione dei delitti di cui agli artt. 581 e 582 c.p. e il nesso di causalità fra questi e l'evento morte.

Secondo i giudici di legittimità sarebbe superflua l'analisi dell'elemento soggettivo che sorregga l'evento morte ulteriore, in quanto conseguenza diretta e prevedibile derivante dalla condotta di lesioni ovvero percosse secondo l'id quod plerumque accidit. In breve, il dolo delle percosse o delle lesioni è l'unico elemento rilevante poiché l'art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità dell'evento più grave nell'intenzione del risultato.

In senso critico è stato osservato da una attenta dottrina che l'impostazione in questione stride con il principio di colpevolezza e della funzione rieducativa della pena. In breve, la lettura congiunta degli artt. 43, 584 c.p. nulla dispongono in ordine alla presunzione di prevedibilità in concreto. 

Delineati i tratti fondamentali dell'omicidio preterintenzionale, appare necessario analizzare la disciplina dell'aberratio ictus e, successivamente, l'ammissibilità del loro combinato disposto. 

L'aberratio ictus è disciplinata dall'art. 82 c.p. inserito nel Libro I, Titolo IV, Capo III dedicato al concorso di reati nonostante rappresenti un corollario in materia di "errore"; in particolare, la norma in questione riguarda il fenomeno in cui un soggetto a causa dell'errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato cagiona un'offesa ad una persona diversa da quella che effettivamente voleva offendere.

La norma in questione al primo comma presenta una variante monolesiva nella quale, a causa di un errore nell'esecuzione del reato, l'agente cagioni un'offesa ad una persona diversa.

L'art. 82 c.2 c.p. prevede, invece, la variante plurilesiva nella quale l'agente cagiona un danno sia al soggetto che voleva offendere che ad un terzo.

Anche in merito alla natura dell'errore nell'esecuzione ex art. 82 c.1-2 c.p. si sono confrontate due tesi diametralmente contrapposte.

L'impostazione tradizionale, avallata da parte della giurisprudenza, configurava l'art. 82 c.p. come una ipotesi di responsabilità obiettiva secondo l'antico brocardo "qui in re illicita versatur, tenetur etiam pro casu". In sostanza, dato che il soggetto agente si trova in una condizione di illiceità, questi risponde di tutte le offese a titolo di dolo anche se è intervenuto il caso fortuito.

Ben diversa, sia sul piano teorico che pratico, è l'impostazione moderna che da una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 82 c.p. alla luce del principio di colpevolezza ex art. 27 Cost. In particolare, la teoria in questione esige, da un lato, una precisa valutazione del nesso di causalità tra condotta ed evento in quanto è necessario valutare se sono intervenute cause interruttive del nesso eziologico come il caso fortuito e la forza maggiore; invero, se in concreto vi è stata tale interruzione, nessun addebito potrà essere mosso all'agente e quindi questi verrà assolto perché il fatto non sussiste.Se invece lo sviluppo causale è riconducibile alla condotta dell'agente il giudice dovrà valutare l'elemento soggettivo del reato ed in particolare se questi si era rappresentato il rischio di poter offendere una persona diversa. In breve, si dovrà verificare caso per caso se l'agente abbia agito con il coefficiente psicologico della colpa cosciente o del dolo eventuale alla luce dei parametri discretivi forniti dalla celebre sentenza Thyssenkrupp, SS.UU., 18/09/2014 n° 38343.

Nella recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione n.15713/18 vengono esplicati i presupposti per la configurazione della preterintenzione e la differenza tra quest'ultima e la fattispecie dell'eccesso colposo.

E'bene chiarire che, la legittima difesa è una causa di giustificazione prevista da vari ordinamenti giuridici e pone l'attenzione sul soggetto ingiustamente aggredito, rispetto all'interesse di chi si è volontariamente posto contro la legge. Nell'analisi esegetica dell'articolo 52 c.p. occorre distinguere, quindi, i due poli attorno ai quali ruota il fatto tipico commesso dal soggetto che si difende: quello della "aggressione ingiusta" e quello della "reazione difensiva".

Si è, invece, fuori dai limiti dell'eccesso colposo se l'agente, essendo ben a conoscenza della situazione concreta e dei mezzi necessari al raggiungimento dell'obiettivo consentito, superi volontariamente i limiti dell'agire scriminato. Qualora la condotta dell'agente abbia superato per intensità e durata i limiti della legittima difesa, l'operatività di tale scriminante non può essere invocata, come anche l'applicazione della disciplina dell'eccesso colposo nella medesima scriminante quando per l'evidente coscienza e volontà dimostrata nel superare la propria difesa cagioni lesioni all'avversario. In questa ipotesi, la qualificazione giuridica del fatto, non può essere ascrivibile, dunque, come eccesso colposo, ma come omicidio preterintenzionale, per avere volontariamente commesso il delitto di lesioni, ciò assorbe la prevedibilità dell'evento più grave nell'intenzione di risultato.

Nell'impianto del nostro Codice penale, la responsabilità preterintenzionale è una figura autonoma, una figura a sé stante, distinta sia dalla responsabilità per dolo, sia dalla responsabilità per colpa e sia dalla responsabilità oggettiva.

L'art. 42 c.p. prevede, oltre alla responsabilità per dolo e alla responsabilità per colpa, anche l'ipotesi del delitto preterintenzionale; e, nel 2° comma recita che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge.

In conclusione, data la situazione di grande incertezza, sarà necessario valutare sempre il singolo caso concreto, ponendo l'attenzione all'elemento oggettivo del reato ed in particolare all'elemento soggettivo dell'agente, al fine di erogare una pena giusta. Inoltre, sarà sempre indispensabile avere come faro normativo l'art. 27 Cost. al fine di evitare impostazioni che annichiliscano il principio di colpevolezza mediante il riconoscimento di forme di responsabilità oggettiva occulta. 

 

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