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Il contributo all'associazione mafiosa

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In tema di associazioni di tipo mafioso, segnaliamo ai lettori la pronuncia con cui la Corte di Cassazione si è pronunciata sul contributo all'associazione da parte del "concorrente esterno" e sulla rilevanza delle cosiddette "condizioni di salute" della compagine associativa.

I giudici hanno preso le mosse osservando come «alla identificazione dell'evento (ed alla stessa punibilità della condotta del concorrente esterno) sia del tutto estranea la verifica delle "condizioni di salute" della compagine associativa» ritenendo come, sul tema, nessun rilievo innovativo  possa essere attribuito ai contenuti della sentenza S.U. Chioccini invocata dalla difesa del ricorrente.

Sebbene, infatti, in quest'ultima sentenza si sia affermato che elemento differenziale della condotta è l'intervento non tipico dell'attività associativa, ma maturato in condizioni particolari (la cd. fibrillazione o altrimenti definita situazione di potenziale capacità di crisi della struttura), che rendono ineludibile un intervento esterno, per la prosecuzione dell'attività», secondo la Corte tale principio «non può essere considerato vincolante per le decisioni da assumersi in sezione semplice, ai sensi dell'art.618 c. 1 bis c.p.p., trattandosi di considerazione che compare nella sentenza come tema accessorio.

Ciò chiarito, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio secondo cui la condotta del concorrente esterno – per essere punibile – non deve tendere ad un incremento della semplice potenzialità operativa dell'organismo criminoso (altrimenti si rientra nel paradigma di punibilità del mero accordo, con ricadute percepibili solo in ambito psicologico, non sufficiente a realizzare l'evento) ma deve porsi come 'frammento' (la realizzazione dello scopo è necessariamente parziale e frammentaria) di una concreta utilità per la realizzazione di una delle molteplici attività espressive del programma criminoso, sì da realizzare una contribuzione «percepibile» al mantenimento in vita dell'organismo criminale.

Vi sono, infatti, compiti che, per le loro caratteristiche, richiedono il loro affidamento (anche continuativo) proprio a soggetti 'non associati', posto che per il raggiungimento degli scopi tipici del sodalizio mafioso – così come per garantirne la stessa esistenza – è necessaria una costante "interazione" tra il gruppo criminoso e persone disposte a realizzare – per finalità personali concorrenti – attività strumentali che vanno dalla realizzazione di lavori pubblici in modo solo apparentemente lecito alla protezione della latitanza degli esponenti di rilievo del sodalizio, al reinvestimento in attività ad oggetto lecito delle risorse accumulate, tanto per fare qualche esempio, in ciò accedendo alla realizzazione dell'offesa al bene giuridico protetto.

 Sintetizzando, per qualificare come mafiosa un'organizzazione criminale è necessaria la capacità potenziale, anche se non attuale, di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una carica intimidatrice idonea a piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano in contatto con gli affiliati all'organismo criminale.

Nell'ipotesi di concorso tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale previste per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso dai commi quarto e sesto dell'art. 416 bis cod. pen., ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall'art. 63, comma quarto, cod. pen., bensì l'autonoma disciplina derogatoria di cui al citato sesto comma dell'art. 416 bis, che prevede l'aumento da un terzo alla metà della pena già aggravata.

La circostanza aggravante prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, è integrata dall'approfittamento delle condizioni di cui all'art. 416 bis cod. pen. e la modalità mafiosa della condotta prescinde dall'appartenenza mafiosa del suo autore, che configura la diversa aggravante di cui all'art. 628, terzo comma, n. 3 cod. pen..

 

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