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Il condomìnio può recuperare per morosità le quote condominiali dalla moglie assegnataria della casa coniugale?

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Riferimenti normativi: Artt.1118 - 1123 c.c.

Focus: La moglie assegnataria della casa coniugale, a seguito di un provvedimento di separazione personale, può essere destinataria di un'azione di recupero delle quote condominiali per morosità? Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n.16613/2022.

Principi generali: È diritto dovere dell'amministratore di condomìnio procedere, dopo l'approvazione del bilancio di riferimento, al recupero delle quote arretrate nei riguardi del condòmino moroso attraverso il cosiddetto procedimento monitorio al termine del quale sarà emesso un decreto ingiuntivo a carico del debitore. Nel caso di specie, su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n.16613 del 23 maggio 2022, l'amministratore di condomìnio aveva ottenuto decreto ingiuntivo per il recupero delle quote condominiali arretrate nei confronti della moglie di un condòmino, assegnataria e titolare del diritto di abitazione sull'ex casa coniugalea seguito di un provvedimento giudiziale di separazione personale dei coniugi. La signora si era opposta al decreto ingiuntivo dinanzi al giudice di pace che aveva respinto l'opposizione con sentenza sfavorevole, appellata dall'intimata dinanzi al Tribunale. In particolare, l'appellante ribadiva ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto all'azione di recupero, insistendo sul fatto che le quote condominiali potevano essere pretese soltanto nei confronti dell'effettivo proprietario dell'appartamento, cioè del marito avente la proprietà esclusiva dello stesso, e non nei suoi confronti, essendo solo assegnataria della casa familiare a seguito del provvedimento di separazione dei coniugi. 

Il giudice di secondo grado aveva accolto le doglianze dell'appellante, riformando la sentenza impugnata e revocando il decreto ingiuntivo intimato, in quanto osservava che "le deliberazioni assembleari con cui vengono ripartite le spese condominiali sono azionabili soltanto nei confronti dei soggetti condòmini, in quanto unici legittimati a partecipare all'assemblea esercitando il diritto di voto. Precisava ulteriormente che il soggetto assegnatario della casa coniugale acquista un semplice diritto di godimento sul bene inidoneo a far gravare sull'assegnatario l'obbligo di pagamento delle spese condominiali". La sentenza veniva impugnata dal condomìnio con ricorso in Cassazione perché i giudici di secondo grado avevano ritenuto esclusa dall'obbligo di pagamento delle spese condominiali l'assegnataria della casa familiare. Altresì, si evidenziava la contraddittorietà del contegno processuale tenuto da quest'ultima che, pur affermandosi non condòmina, aveva proceduto in corso di lite, come in distinti giudizi, ad eccepire vizi delle delibere assembleari e delle tabelle millesimali. Il condomìnio ribadiva, quindi, che l'assegnatario deve ritenersi soggetto sul quale incombono le spese relative alla manutenzione e all'uso del bene richiamando le statuizioni rese nei procedimenti di separazione e divorzio. Sosteneva, altresì, che "agli occhi del condomìnio si era determinato il giustificato convincimento che le due situazioni (assegnataria e condòmina) coincidano". La Corte di Cassazione ha ritenuto irrilevante la suddetta tesi, in quanto ciò contrasta con l'orientamento della stessa Corte, a sezioni unite, sentenza n.5035/2002. Ha, pertanto, precisato che, "per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali inerenti alla casa familiare oggetto di assegnazione in sede di separazione o di divorzio, occorre distinguere tra le spese che sono dovute dal coniuge assegnatario, il quale utilizza in concreto l'immobile e quelle che rimangono a carico del coniuge proprietario esclusivo dell'immobile (per esempio, spese di manutenzione straordinaria) (Cass.24 luglio 2000 n.9689). 

L'essenziale gratuità dell'assegnazione della casa familiare esonera l'assegnatario dal pagamento di un corrispettivo per il godimento dell'abitazione di proprietà dell'altro, ma non si estende alle spese correlate all'uso (tra cui i contributi condominiali inerenti alla manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'alloggio familiare), spese che, in mancanza di un provvedimento espresso del giudice della separazione o del divorzio che ne accolli l'onere al coniuge proprietario, vanno a carico del coniuge assegnatario (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3836; Cass. 19 settembre 2005, n. 18476; Cass. 30 luglio 1997, n. 7127; Cass. 3 giugno 1994, n. 5374). Tuttavia, il diritto di godimento della casa familiare spettante al coniuge o al convivente affidatario di figli minori, in forza di provvedimento giudiziale opponibile anche ai terzi, è un diritto personale di godimento "sui generis" (Cass. Sez. Unite 26 luglio 2002, n. 11096; Cass. Sez. Unite 21 luglio 2004, n. 13603; Cass. Sez. Unite 29 settembre 2014, n. 20448) che non rileva ai fini della pretesa dell'amministratore. Infatti, secondo il costante orientamento della Corte, << l'amministratore del condomìnio ha diritto - ai sensi del combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c. - di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condòmino, e cioè di ciascuno dei titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, restando esclusa un'azione diretta anche nei confronti del conduttore della singola unità immobiliare (contro il quale può invece agire in risoluzione il locatore, ove si tratti di oneri posti a carico del locatario sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente), tant'è che si afferma risolutivamente che "di fronte al condomìnio esistono solo i condòmini" (Cass. 25 ottobre 2018, n. 27162; Cass. 9 dicembre 2009, n. 25781; Cass. 3 febbraio 1994, n. 1104). Quindi, per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale, poiché difettano, nei rapporti fra condominio e singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell'affidamento del terzo in buona fede (Cass. 25 ottobre 2018, n. 27162; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23621)>>. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di secondo grado, dichiarando inammissibile il ricorso del condomìnio.

 

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