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“Il carcere non sia luogo di buio isolamento”

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  Dopo il picco di suicidi dietro le sbarre, molto si discute su pene alternative, diritti dei detenuti e indirizzi del nuovo Governo. 7 suicidi nelle carceri italiane nelle ultime settimane, 34 dall'inizio dell'anno, sono solo numeri, freddi dati che fanno notizia ciclicamente, per poi finire nel dimenticatoio non appena i riflettori intercettano un'altra "emergenza". Eppure, dietro a quei numeri, ci sono storie, nomi.Come quello di Hassan, 21 anni, morto qualche giorno fa nell'ospedale di Belcolle, provincia di Viterbo, dopo essersi impiccato in una cella della sezione di isolamento del carcere cittadino, da dove sarebbe uscito il prossimo 9 settembre. Vicende che dovrebbero stimolare una riflessione seria sul delicato argomento della detenzione, tema, in Italia, di perenne attualità, ma ciclicamente accantonato nel dibattito pubblico, e per far sì che la detenzione sia luogo di riabilitazione e recupero sociale, e non abbia soltanto una funzione meramente custodiale. Il suicidio di una persona è sempre dovuto a una molteplicità di fattori e che proprio per rispettare la decisione estrema presa occorra astenersi da facili interpretazioni. Con questa premessa occorre però notare che sempre più i suicidi in carcere riguardano persone socialmente e forse individualmente fragili, che non hanno trovato ascolto nel sociale, che hanno realizzato una serie di successive esclusioni e che compiono questo gesto finale all'interno del punto di arrivo di tale percorso di esclusioni. Gli ultimi casi hanno riguardato persone con condanne lievi, talvolta prossime all'uscita. Comunque persone che neppure in carcere hanno probabilmente trovato un momento di ascolto, di connessione con le loro difficoltà. Ora piuttosto che interrogarsi - seppure doverosamente - sull'effettiva sorveglianza realizzata durante la loro permanenza in carcere, facendo così ricadere la responsabilità su chi aveva il compito di controllarle, occorrerebbe chiedersi se a tali persone sono state offerte possibilità di contatto umano, di osservazione dei bisogni psicologici, di effettiva sensazione di non abbandono", se è stata fatta dallo staff multidisciplinare la valutazione del rischio suicidario.

  Per fare ciò è assolutamente necessario riequilibrare i rapporti tra le diverse professioni che operano in carcere: da quella relativa alla sicurezza a quella relativa al supporto trattamentale e psicologico. Questa ultime professioni contano ormai numeri esigui: che si sono perse a totale vantaggio della sola funzione custodiale. Il carcere non deve essere luogo di buio isolamento - spesso proprio nelle sezioni di isolamento avvengono i suicidi - ma luogo di totale apertura a contributi esterni, al mantenimento dei rapporti con lo scorrere del mondo oltre le mura, ovviamente senza per questo diminuire i livelli di sicurezza".Nel dibattito sulle misure alternative al carcere, spesso si nota una certa retorica securitaria di chi invoca superficialmente e genericamente la "certezza della pena". "La confusione che il dibattito attuale, fatto con toni volutamente alti, quasi gridati, è tra la "certezza" della pena e la sua "fissità" nel tempo. Ogni sistema penale richiede che le pene siano proporzionate alla gravità del reato commesso e alla rilevanza del bene giuridico aggredito con la sua commissione; che corrispondano a leggi, che quest'ultime ne definiscano tassativamente le condizioni per la loro applicazione e le modalità per la loro esecuzione. Quindi principi di legalità, tassatività e proporzionalità costituiscono la "certezza" della pena: nulla lasciato all'arbitrio. Ma, accanto a questo le pene devono avere una finalità e, così come afferma la Costituzione italiana, la finalità è il ritorno positivo al contesto sociale, in sintesi la rieducazione, cioèun reinserimento che eviti la nuova commissione di reati. Quindi, occorre che l'esecuzione della pena sviluppi un percorso positivo che tenda a restituire alla società un soggetto in grado di interagire positivamente con essa, così riannodando quel filo che la commissione del reato ha reciso. Perché ciò avvenga l'esecuzione deve essere a "tappe", modulata, non può essere fissa: da qui le misure alternative che nella loro progressione sono tappe verso il ritorno alla società. Sono misure da dare sempre seguendo parametri fissati dalla legge e non arbitrariamente e secondo la decisione del magistrato di sorveglianza, che nelle sue decisioni, si avvale della valutazione di chi segue il percorso della persona detenuta all'interno del carcere e cioè dei funzionari giuridico pedagogici, che svolgono l'osservazione scientifica della personalità sui detenuti condannati definitivamente, cioè la raccolta di tutti quei dati che concorrono alla conoscenza del soggetto detenuto per potere predisporre un adeguato e personalizzato programma "educativo", da trasmettere al magistrato di sorveglianza per le sue valutazioni finali in merito alla concedibilità o meno delle misure alternative o dei permessi premio.

 Và da se, quindi, la necessità di potenziare ed incrementare la figura professionale del funzionario giuridico pedagogico, in quanto figura essenziale ed indispensabile al raggiungimento del fine istituzionale di una pena "certa", ma non "fissa".Per gli autori di molti reati minori la detenzione è un'inutile sottrazione di tempo che certamente non aiuta a quel loro reinserimento di cui si accennava precedentemente: meglio sarebbero pene alternative diverse dal carcere di tipo risarcitorio, interdittivo o di lavoro sociale. Allo stato ci sono provvedimenti in corso di approvazione che recuperano parti della discussione sviluppata negli anni recenti - dai cosiddetti Stati Generali dell'esecuzione penale - ma che non riescono a cogliere il senso complessivo di quella discussione, in sintesi, provvedimenti parziali, anche condivisibili, ma privi di un'idea complessiva sulla detenzione.

Ragusa, 28 Agosto 2018

Funzionario Giuridico Pedagogico  

 Rosetta Noto


 

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