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I costi sostenuti per i capi di abbigliamento inerenti l’attività svolta sono deducibili?

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Riferimenti normativi:Artt.54 -109, comma 5, T.U.I.R.- Art.19 D.P.R. n.633/1972

Focus: Sono deducibili i costi sostenuti per l'abbigliamento inerenti l'attività svolta? In tal senso si è pronunciata la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la recente sentenza n.468/2024 depositata il 12 febbraio 2024 e pubblicata il 29/03/2024.

Il caso: Una contribuente, influencer per la moda di fama mondiale, ha impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale l'avviso di accertamento per maggiori Irpef, Iva, oltre sanzioni, anno d'imposta 2015, con il quale l'ufficio finanziario ha disconosciuto i costi che la stessa aveva portato in deduzione per acquisto di beni di consumo ritenuti non inerenti alla sua attività. Beni di consumo corrispondenti, nel caso di specie, a vestiti, spese amministrative per pratiche auto e spese di viaggio. 

La Commissione ha ritenuto infondati i motivi del ricorso sia con riferimento alle spese amministrative per pratiche auto e spese di viaggio sia in merito ai beni di consumo (capi di abbigliamento firmati, gioielli, accessori), perché la contribuente non aveva documentato, ai fini Ipef, che le singole spese dedotte fossero inerenti, ai sensi dell'art.54 T.U.I.R., all'attivita professionale, specialmente il vestiario destinato ad uso strettamente personale. Per i giudici, inoltre, la ricorrente non aveva fornito la prova, ai fini della detrazione dell'Iva, che le spese fossero relative "a beni o servizi acquistati" nell'esercizio dell'impresa o della professione" (art.19 D.P.R. n.633/1972). Pertanto, la Commissione tributaria provinciale ha rigettato il ricorso e la sentenza è stata impugnata dalla contribuente dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con appello. Nell'appello la ricorrente ha contestato la sentenza dei primi giudici per l'erronea interpretazione dell'art.109 T.U.I.R.(principio dell'inerenza) nel valutare i costi deducibili come spese non inerenti l'attività svolta, precisando di non essere una "semplice" giornalista indipendente ma una fashion editor di fama mondiale, unanimemente riconosciuta come "guru" della moda a livello internazionale e icona di stile. Ha ribadito, quindi, che essendo un'influencer nel campo dell'immagine e della moda l'uso di abiti particolari è il presupposto per lo svolgimento del lavoro e le spese sostenute per l'acquisto costituiscono costi deducibili, così come sono da ritenersi deducibili i costi delle spese amministrative sostenute per le pratiche auto ed i costi per servizi, perché anche gli spostamenti sono strettamente connaturati con l'attività svolta. Tenuto conto dell'uso promiscuo di tali beni ha chiesto, in subordine, il riconoscimento della deducibilità parziale dei costi sostenuti. Infine, ha contestato l'indetraibilità dell'IVA in quanto è legittima la sua detrazione se il bene acquistato è funzionale e riconducibile all'attività svolta in concreto e ad essa inerente. 

L'Agenzia delle Entrate, costituitasi in giudizio, ha insistito per la conferma della sentenza impugnata evidenziando che dalla documentazione contabile ed extracontabile prodotta dalla contribuente è emerso che la stessa ha dedotto spese solo parzialmente inerenti l'attività professionale svolta. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia alla luce della particolare attività svolta dalla contribuente ha analizzato l'inerenza dei costi recuperati a tassazione dall'Ufficio finanziario. Per il vestiario i giudici hanno ritenuto provata l'inerenza delle spese sostenute per le stesse con particolare riferimento all'attività professionale di influencer esercitata dalla contribuente. A tal proposito è stata richiamata giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale "In tema di imposta sui redditi di impresa il principio dell'inerenza esprime la riferibilità dei costi sostenuti all'attività d'impresa, anche in via indiretta potenziale o in proiezione futura, per cui vanno esclusi soltanto i costi che si collocano in una sfera estranea all'attività esercitata. Di conseguenza, l'inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo (Cassazione sent.27786/18)". Tuttavia, poiché la ricorrente non aveva adeguatamente provato l'uso esclusivo dei capi di abbigliamento, acquistati per specifici eventi in cui la stessa aveva partecipato, la Corte ha considerato il loro uso promiscuo, con deducibilità dei relativi costi al 50%, come previsto dall'art. 54 del T.U.I.R. Invece, in merito alle spese per viaggio, le spese amministrative e per i servizi, la Corte ha riconosciuto come valide le ragioni addotte dall'ufficio, e cioè la loro indetraibilità, per la genericità dei documenti forniti dalla ricorrente per provare le spese sostenute. La documentazione generica, infatti, non ha consentito di ricondurle all'attività svolta dalla contribuente e provare la loro inerenza alla particolarità dell'attività svolta. Sulla base di ciò, la Corte di Giustizia tributaria ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado riconoscendo come parzialmente deducibili al 50% solo le spese per acquisti di vestiario e la relativa iva.

 

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