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Gli interventi chirurgici estetici sono sempre esenti da Iva?

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Riferimenti normativi: Art.10 D.P.R.n.633/1972

Focus: Nei casi di chirurgia estetica le prestazioni rese da un medico estetico non sempre sono esenti da Iva. Ciò comporta che i compensi fatturati dal professionista possono essere oggetto di accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate con conseguente recupero dell'Iva sugli stessi, a meno che il contribuente non dimostri la legittimità dell'esenzione Iva di cui gode. La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in materia con Ordinanza n.26906 del 13/09/2022.

Principi generali: Il Ministero dell'Economia e delle Finanze nella risposta all'interrogazione n.3-03094 del 10 marzo 2022 in Commissione Finanze al Senato ha ribadito che gli interventi di chirurgia estetica eseguiti da un medico sono esenti da Iva solo se le operazioni hanno finalità di diagnosi, cura e riabilitazione della persona, confermando così l'orientamento della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia europea. Nel caso di specie esaminato dalla Suprema Corte un medico e chirurgo plastico e ricostruttivo aveva impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale due avvisi di accertamento emessi dall'Ufficio in materia di Irpef, Irap, IVA, interessi e sanzioni, per gli anni d'imposta 2013 e 2014. La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso, ritenendo che anche le prestazioni di chirurgia plastica rientrassero tra le prestazioni mediche e fossero esenti dall'applicazione dell'IVA. La sentenza veniva impugnata dall'Agenzia delle Entrate dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale. Quest'ultima rigettava l'appello evidenziando che anche gli interventi di chirurgia plastica ricostruttiva rientravano a pieno titolo nel concetto di attività sanitaria, potendo solo il medico valutare la necessità dell'intervento per la salute fisica e psichica del paziente, e in merito al recupero dell'importo di euro 1.000,00 la giustificazione fornita dal contribuente appariva del tutto convincente.

La Commissione aveva fondato la sua decisione sui seguenti argomenti: 1) il professionista, collaborando con l'Ufficio, aveva fornito, per ciascun trattamento cui aveva sottoposto i pazienti, il dettaglio dell'intervento effettuato; 2) grazie a questa collaborazione, l'Agenzia delle Entrate era stata posta nelle condizioni di indagare e chiedere informazioni sulla natura degli interventi direttamente ai clienti-pazienti, non escludendo altresì la possibilità̀ di ricorrere ad una consulenza tecnica; 3) la circolare n.4/2005 dell'Agenzia delle Entrate, all'art. 8, aveva introdotto un'evidente inversione dell'onere della prova a carico dell'Ufficio per fondare il diniego dell'esenzione, "prova che il Collegio ritiene non raggiunta o per lo meno non raggiunta in modo convincente, avendo lo stesso affermato semplicemente che i suddetti trattamenti, per la grande maggioranza dei non paiono avere carattere sanitario ma estetico". Dalla lettura della circolare, infatti, sembrerebbe sussistere una presunzione iuris tantum in favore del contribuente (con conseguente inversione dell'onere probatorio a carico dell'Ufficio), nella parte in cui prevede che <<Le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da IVA in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona. Si tratta di interventi tesi a riparare inestetismi, sia congeniti sia talvolta dovuti ad eventi pregressi di vario genere (es: malattie tumorali, incidenti stradali, incendi, ecc.), comunque suscettibili di creare disagi psico-fisici alle persone>>.

Di conseguenza, l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione contestando, con unico motivo, che il giudice di secondo grado aveva posto a carico dell'Amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare che le prestazioni eseguite dal contribuente rientrassero nella nozione di "prestazioni mediche". La Suprema Corte ha ritenuto il motivo fondato. Riguardo alla circolare n.4/2005 ha affermato che le circolari dell'Agenzia delle Entrate interpretative di una norma tributaria, anche ove contengano una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, esprimono esclusivamente un parere, non vincolante per il contribuente - oltre che per gli uffici -, per il giudice e per la stessa autorità che l'ha emanata (Sez. 5, Sentenza n. 6699 del 21/03/2014). La Corte, a tal proposito, ha richiamato alcune sue precedenti decisioni secondo le quali, in presenza di un'agevolazione fiscale, si applica il principio per cui l'esenzione Iva deve intendersi riferita solo alle "prestazioni mediche", ossia agli interventi diretti alla diagnosi, cura e guarigione delle malattie o dei problemi di salute, ovvero alla prevenzione della loro insorgenza>> (Sez. 5, Ordinanza n. 25440 del 12/10/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 27947 del 13/10/2021). Altresì, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 23228 del 04/10/2017). Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità la CTR ha errato, avendo posto a carico dell'Amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare che gli interventi posti in essere dal contribuente non rientravano tra quelli per i quali è prevista l'esenzione dall'IVA. Pertanto, il ricorso è stato accolto, con conseguente rinvio della causa alla CTR in differente composizione.

 

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