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Responsabilità medica, Cassazione fa il punto sul riparto dell’onere probatorio

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Con la pronuncia n. 19204, in relazione al diritto al risarcimento del danno per responsabilità medica, la Cassazione ha precisato che "compete al paziente che si assuma danneggiato dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno del quale chiede il risarcimento. Ne consegue che se al termine dell'istruttoria non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta incerta, la domanda deve essere rigettata".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla richiesta di risarcimento danni avanzata dagli eredi di una donna, presa in cura dal nosocomio con una, errata, diagnosi di meningite batterica e poi deceduta a causa di una malattia ematologica.

Sia il Tribunale che Corte di Appello di Roma rigettavano la domanda ritenendo che la parte attrice non avesse provato gli estremi della responsabilità della struttura sanitaria ed, in particolare, il nesso causale tra l'errata diagnosi e l'evento morte

Ricorrendo in Cassazione, gli eredi lamentavano la violazione delle regole poste dall'art. 1218 c.c. in relazione alla responsabilità del debitore – nella specie l'intera struttura sanitaria – per l'obbligazione di cura assunta all'atto di presa in carico della paziente: in particolare sostenevano che la corte territoriale erroneamente avesse individuato il contenuto dell'onere della prova di chi agisce per responsabilità contrattuale, così pretendendo che fosse l'attore a provare il nesso causale tra l'inadempimento sanitario e l'evento morte.

A sostegno del loro assunto, richiamavano il principio di vicinanza dell'onere della prova (su cui si fonda la nota decisione delle Sezioni Unite 30/10/2001, n. 13533 vertente proprio sul riparto dell'onere probatorio in materia contrattuale e che tiene conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione) per sostenere che fosse onere del debitore, quale appunto soggetto più vicino, ad accollarsi l'onere dell'esclusione del nesso causale. 

 La Cassazione non condivide l'assunto dei ricorrenti.

I Supremi Giudici ricordano che, in base al disposto di cui all'art. 2697 c.c., spetta all'attore la prova del diritto fatto valere ed al convenuto la prova della modificazione o dell'estinzione del diritto stesso: siffatta regola vale anche nel caso di risarcimento del danno da responsabilità medica, senza che il tenore di cui all'art. 1218 c.c. ( secondo cui il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della. prestazione derivante da causa a lui non imputabile) possa far giungere a differenti conclusioni.

Gli Ermellini precisano, quindi, che previsione dell'art. 1218 c.c. esonera il creditore dall'onere di provare la colpa del debitore, ma non anche da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui si chiede il risarcimento.

Né vale richiamare il principio di vicinanza dell'onere della prova, il quale non coinvolge il nesso causale fra la condotta dell'obbligato e il danno lamentato dal creditore: in relazione alla prova del nesso causale, infatti, valgono le regole generali di distribuzione dell'onus probandi di cui all'art. 2697 c.c..

Tale disposizione, ponendo a carico dell'attore la prova degli elementi costitutivi della propria pretesa, non permette di ritenere che l'asserito danneggiante possa liberarsi dalla prova del nesso di causa (cfr., da ultimo, Cass. 26/07/2017 n. 18392); specularmente la prova dell'avvenuto adempimento o della correttezza della condotta (ovvero i fatti estintivi dell'obbligazione) è posta a carico del debitore della prestazione.

È lo stesso articolo 1218 a confermare siffatto riparto, disponendo che sia il debitore a provare che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile: siffatta norma, quando parla di causa , si riferisce alla non imputabilità dell'impossibilità di adempiere che si colloca nell'ambito delle cause estintive dell'obbligazione, costituenti "tema di prova della parte debitrice", e concerne un "ciclo causale" che è del tutto distinto da quello relativo all'evento dannoso conseguente all'adempimento mancato o inesatto. (Cass. 26/7/2017, n. 18392).

 Chiarito il quadro normativo ed il tenore delle disposizioni più pertinenti, la Cassazione richiama la propria consolidata giurisprudenza in tema di risarcimento del danno da responsabilità medica, secondo cui "compete al paziente che si assuma danneggiato dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento. Se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta incerta, la domanda deve essere rigettata" (da ultimo, cfr. Cass. 14/11/2017, n. 26824 e Cass. 07/12/2017, n. 29315).

Da ultimo la sentenza in commento chiarisce che il paziente è esonerato dalla prova del nesso causale solo qualora alleghi un inadempimento qualificato, ovvero un inadempimento tale da comportare di per sè, in assenza di fattori alternativi "più probabili", nel caso singolo di specie, la presunzione della derivazione del contagio dalla condotta: in siffatte situazioni, "la prova della prestazione sanitaria contiene già quella del nesso causale, sicché non può che spettare al convenuto l'onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., comma 2, e non la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c..".

E' il caso, affrontato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 577 del 2008) tipico delle emotrasfusioni, in relazione alle quali si è specificato che "ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante".

Compiute queste precisazioni, la Cassazione – rilevato che i ricorrenti non avessero provato il nesso causale – rigetta il ricorso condannando questi ultimi al pagamento delle spese di lite.

 

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