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Falso commesso dal lavoratore per conseguire un posto di lavoro, irrilevanza del c.d. "falso innocuo".

Su questa tematica si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11636/16, depositata il 7 giugno.
Nel caso "de quo" riguardante un licenziamento irrogato senza preavviso a seguito di falsità dichiarative commesse per conseguire un posto di lavoro pubblico da parte di un insegnante , la Corte Suprema si trova a confermare quanto stabilito dai giudici di " prime cure" e di appello, statuendo, che la lavoratrice andava comunque sanzionata col licenziamento anche a prescindere dalla punibilità in sede penale del comportamento posto in essere per inidoneità dell´azione alla concretizzazione di uno scopo ulteriore antigiuridico nella sua essenza ( c.d. falso innocuo).
In particolare , dunque, i Supremi Giudici rilevano come Il comportamento del dipendete pubblico è sanzionato indipendentemente dalla circostanza che la falsità abbia fatto conseguire il posto di lavoro, essendo sufficiente a integrare la fattispecie la condotta di avere prodotto la documentazione o la dichiarazione falsa, al fine o in occasione dell´instaurazione del rapporto di lavoro.
Tale interpretazione non palesa dubbi di legittimità costituzionale, né può trovare applicazione il concetto penalistico di falso innocuo, in quanto la condotta di produrre documenti falsi ed eseguire false dichiarazioni è idonea in sé ad assumere caratteri tali da giustificare il licenziamento, indipendentemente dal fatto che sia integrato un delitto di falso.
Ciò detto sarebbe stata comunque necessaria un´ulteriore valutazione da parte del l´amministrazione in ordine al discusso provvedimento di decadenza emesso ai sensi dell´art. 127, primo comma, lettera d, dello stesso decreto, per ponderare la proporzione tra la gravità del comportamento presupposto e il divieto di concorrere ad altro impiego; potere di valutazione analogo a quello riconosciuto da questa Corte ai fini dell´ammissione al concorso, con riferimento alla riabilitazione ottenuta dal candidato .
La discrezionalità che l´amministrazione pubblica esercita in tal modo sarà limitata dall´obbligo di tenere conto dei presupposti e della motivazione del provvedimento di decadenza, ai fini della decisione circa l´ammissione a concorrere ad altro impiego nell´amministrazione.
Ed infatti, la Corte d´Appello aveva giustamente posto in evidenza come, secondo quanto già rilevato dal Tribunale, non si era verificato alcun automatismo nella pronuncia ella dichiarazione di decadenza dalle graduatorie, ex art. 8, comma 3, lettera c, del D.M. n. 44 del 2001, perché valevano le medesime considerazioni già svolte in ordine all´estrema gravità e alla reiterazione delle condotte, che era stata valutata dalla Pubblica amministrazione.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato anche tale motivo di ricorso, relativo alla decadenza dalla graduatorie, posto che la Corte d´appello correttamente aveva rilevato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto il licenziamento proporzionato al fatto contestato e che configurava giusta causa di recesso, ai sensi dell´art. 55–quater lett. d) d.lgs. n. 165/2001, ogni falsa attestazione commessa ai fini o in occasione dell´instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni in carriera.
Ciò detto i Giudici Supremi rigettano il ricorso della lavoratrice.


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