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Falsificazione di atti giudiziali. Lesione del prestigio della classe forense e sanzione della radiazione

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 Con sentenza n.151 del 26 settembre 2022 il Consiglio Nazionale Forense ha affermato che la falsificazione da parte del professionista di documenti e provvedimenti giurisdizionali, costituisce un comportamento contrario ai principi di correttezza, dignità e decoro professionale, idoneo a vulnerare gravemente l'ordinamento, la società e il prestigio dell'intera classe forense e tale da meritare la massima sanzione disciplinare.

Analizziamo la vicenda.

I fatti del procedimento disciplinare

Un avvocato è stato sottoposto a procedimento penale, in quanto, dopo aver accettato il mandato difensivo conferitogli dalla cliente al fine di ottenere il soddisfacimento di alcune pretese economiche nei confronti della società debitrice, ha indotto la cliente a credere di aver instaurato un procedimento, un pignoramento e un accordo transattivo, in realtà mai avvenuti, le ha consegnato una falsa documentazione sia giudiziale che stragiudiziale (compresa una falsa copia della sentenza favorevole alla cliente, riprodotta mediante la tecnica del fotomontaggio). In tal modo l'avvocato ha indotto la cliente a consegnargli delle somme di denaro a titolo di compensi e rimborso spese.

Conseguentemente l'avvocato è stato condannato in sede penale e sottoposto a procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina, il quale al termine dell'istruttoria ha comminato all'avvocato la pena della radiazione dall'esercizio della professione forense. 

 L'irrogazione della massima sanzione è giustificata dal comportamento dell'avvocato concretizzatosi in una violazione dei doveri di probità, correttezza, lealtà e decoro, in grado di compromettere l'affidamento della parte assistita e la fede pubblica nella funzione dell'avvocato. Infatti a parere del Consiglio Distrettuale di Disciplina la collettività deve poter confidare nella correttezza di tutti gli operatori di giustizia ed in particolare dell'Avvocatura, che costituisce il primo anello della catena istituzionale per la tutela dei diritti. Ne discende che "la creazione di un titolo giuridico falso si pone irrimediabilmente in contrasto con la funzione di salvaguardia dei diritti e di affidamento ed inviolabilità della difesa riconosciuto non solo nel Codice Deontologico ma anche dalla Legge e dalla Costituzione."

L'avvocato ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense adducendo l'insussistenza delle condotte ascrittegli per mancanza di prova raggiunta nel corso del procedimento disciplinare, nonché l'eccessiva afflittività della comminata sanzione della radiazione.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Per quanto riguarda l'afflittività della sanzione, il Consiglio ha ritenuto corretta la decisione del Consiglio Distrettuale nel rilevare l'assenza di qualsivoglia cenno di resipiscenza da parte dell'incolpato, la sussistenza di numerosi carichi disciplinari pendenti a suo carico, il mancato ristoro del danno all'assistito. Tutte queste circostanze hanno indotto l'organo Disciplinare a ritenere inapplicabile ogni ipotesi di attenuante, mentre risulta operante il cumulo tra le diverse aggravanti, quali la pluralità delle violazioni della medesima indole (violazione del mandato, omessa e falsa informativa al cliente, trattenimento di somme non dovute, omessa fatturazione, inadempimento del giudicato civile), con la conseguente applicazione della sanzione più grave della radiazione.  

 Tra l'altro la Suprema Corte di cassazione ha da tempo affermato che "In ossequio al principio enunciato dall'art. 21 ncdf (già art. 3 codice previgente), nei procedimenti disciplinari l'oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato e tanto al fine di valutare la sua condotta in generale, quanto a quello di infliggere la sanzione più adeguata, che non potrà se non essere l'unica nell'ambito dello stesso procedimento, nonostante siano state molteplici le condotte lesive poste in essere. Tale sanzione, quindi, non è la somma di altrettante pene singole sui vari addebiti contestati, quanto invece il frutto della valutazione complessiva del soggetto interessato, tenendo conto: della gravità del fatto, del grado della colpa, della eventuale sussistenza del dolo e della sua intensità, del comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, oggettive e soggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione (comma 3), del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale dell'incolpato, dei suoi precedenti disciplinari (comma 4)." (cfr. ex multis Cass. SS.UU., 04.07.2018 n. 17534. Conf. Cons. Naz. For. 15.10.2020 n. 202).

Per quanto concerne, invece, la valutazione delle prove, il Consiglio ha rammentato il costante e conforme orientamento della giurisprudenza secondo il quale 1) in sede disciplinare opera il principio del libero convincimento del giudice, che ha ampio potere discrezionale nel valutare la conferenza e rilevanza delle prove acquisite(CNF. 23.04.2019 n. 17, CNF 15.10.2018, n. 115, CNF 29.12.2015, n. 233); 2) "l'attività istruttoria espletata dal consiglio territoriale deve ritenersi correttamente motivata allorquando la valutazione disciplinare sia avvenuta non già solo esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell'esponente o di altro soggetto portatore di un interesse personale nella vicenda, ma altresì dall'analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti (...)" (CNF 06.11.2020 n. 221, CNF 06.11.2020 n. 215).

Alla luce di queste argomentazioni il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la decisione impugnata e ha rigettato il ricorso.

 

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