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Errore medico e causa naturale concorrente: come si calcola il danno a carico dell’ASL?

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Con la sentenza n. 514 dello scorso 15 gennaio, la III sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata ad esaminare la responsabilità di una struttura ospedaliera per la ritardata diagnosi di cura di un ictus ischemico cerebrale, ha fornito importanti precisazioni sui criteri di liquidazione dei danni causati non solo dall'erronea condotta medica, ma anche da menomazioni naturali concorrenti.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio da una richiesta di risarcimento danni avanzata contro due strutture ospedaliere da un uomo, il quale lamentava l'omessa diagnosi di cura di un ictus ischemico cerebrale, avvenuta in occasione dei ricoveri avvenuti, a distanza di 48 ore l'uno dall'altro, presso le due strutture ospedaliere convenute.

Il Tribunale di Campobasso, sulla scorta dell'espletata ctu, accoglieva la domanda nei soli confronti della prima struttura ospedaliera, ritenuta responsabile nella misura del 20%, escludendo qualsiasi responsabilità del secondo nosocomio.

Secondo il CTU, infatti, un trattamento farmacologico riabilitativo attuato tempestivamente avrebbe consentito, nella generalità dei casi analoghi, di contenere i postumi invalidanti in misura apprezzabilmente inferiore, con un aggravamento direttamente correlato all'errore diagnostico stimabile, sulla base di un criterio probabilistico, nella misura del 20%. 

Con specifico riferimento alla posizione della seconda struttura ospedaliera, il consulente aveva rilevato come la terapia da eseguire per curare l'ischemia cerebrale, per essere efficace, doveva essere effettuata nelle prime tre ore dal manifestarsi dell'ischemia stessa, laddove – nel caso di specie – il paziente era giunto al secondo ospedale solo due giorni dopo l'insorgenza della malattia, quando si era esaurita la fase acuta della patologia e se ne erano stabilizzati i postumi.

La Corte di Appello di Campobasso confermava pienamente la decisione del giudice di prime cure.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il paziente, lamentando violazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. evidenziando come il danno patito avrebbe dovuto essere posto quantomeno a carico della prima ASL per intero.

Sul punto rilevava come, per giurisprudenza pacifica, laddove si prospetti la possibile incidenza di un fattore naturale sulla produzione dell'evento pregiudizievole, in mancanza di prova che il fattore naturale sia in grado di escludere del tutto il nesso di causa, il danno andrebbe interamente ricondotto alla condotta colpevole umana, non essendo possibile elidere, neppure in percentuale, la pari efficienza eziologica dei fattori concorrenti, con conseguente diritto al riconoscimento dell'intero danno.

La Cassazione non condivide le doglianze denunciate. 

 In punto di diritto gli Ermellini ricordano che se l'azione o l'omissione colpevole concorra con la causa naturale nella produzione dell'evento lesivo, sul piano della causalità materiale sarà del tutto indifferente la preesistenza, coesistenza o concorrenza della causa naturale stessa; le conseguenze dannose della lesione, valutate sul piano della causalità giuridica andranno invece liquidate, nella loro effettiva e complessiva consistenza, attribuendo all'autore dell'illecito la (sola) percentuale di aggravamento della situazione preesistente.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come il ricorrente, con la propria doglianza, confonde l'evento lesivo – rappresentato dall'ictus da valutarsi, con riferimento alla condotta colpevole, ai sensi dell'art. 41 c.p. e 1227 c.c. – con le sue conseguenze dannose, consistenti con il grado di invalidità residuato, da accertarsi ai sensi dell'art. 1223 c.c..

Ciò posto, gli Ermellini colgono l'occasione per precisare alcuni fondamentali aspetti.

Ed invero, premesso che lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione (e, in quanto tale, è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale), la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col maggior danno causato dall'illecito.

In particolare, sono "coesistenti" le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, sicché sono di norma irrilevanti ai fini della liquidazione; sono, invece, "concorrenti" le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni.

Nel caso di menomazioni concorrenti, ai fini della liquidazione, occorre:

- stimare in punti percentuali l'invalidità complessiva dell'individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall'illecito), e convertirla in denaro;

- sottrarre dal risultato ottenuto quanto risultante dalla stima in punti percentuali dell'invalidità teoricamente preesistente all'illecito, convertita in denaro.

In ogni caso, resta imprescindibile il potere-dovere del giudice di ricorrere all'equità correttiva ove la rigida applicazione del calcolo che precede conduca, per effetto della progressività delle tabelle, a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.

Compiute queste precisazioni, la Corte rigetta il ricorso

 

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