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Erronea indicazione delle disposizioni di legge violate nel DCG: conseguenze

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La Corte di Cassazione con la sentenza in commento, la n. 23581 depositata lo scorso 5 agosto, ha ribadito il proprio orientamento per cui la erronea indicazione delle norme di legge violate non determina la nullità della formulazione dell'accusa.

Nel caso sottoposto al suo esame, il Tribunale aveva emesso un decreto penale di condanna imputando al ricorrente la violazione (tentata) della contravvenzione prevista dalla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. B). 

Nel capo di imputazione posto alla base dell'emissione del decreto penale di condanna il PM aveva descritto in maniera puntuale in fatto la condotta e la aveva qualificata giuridicamente richiamando anche gli articoli 81 c.p.v. e 56 c.p. 

Tuttavia, pur richiamandoli, di fatto non li aveva applicati poichè nel calcolo della pena non aveva riportato né un aumento per la continuazione, né la diminuzione dovuta per il tentativo.

Il GIP, richiamando pedissequamente la richiesta accusatoria,  aveva emesso il decreto penale di condanna avverso il quale si era opposto l'imputato. 

Nel successivo decreto di citazione a giudizio, tuttavia, non veniva più contestata la violazione della contravvenzione sopra richiamata: la condotta veniva sussunta nell'art. 515 c.p. seppure la descrizione in fatto fosse rimasta la medesima.

Infine, nel corso della prima udienza – nella quale peraltro l'imputato era assente seppure fosse presente il suo difensore fiduciario – il PM aveva rilevato che "per mero errore materiale nel capo di imputazione contenuto nel decreto di citazione a giudizio si è fatto riferimento all'art. 515 c.p., anziché alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. B) come indicato nel decreto penale di condanna". Il procedimento si concludeva con una condanna.

Ricorreva per cassazione l'imputato rilevando come alternativamente o il GIP nell'emettere il decreto di citazione a giudizio a suo carico avesse illegittimamente modificato l'imputazione sulla base della quale era stato emesso il decreto di condanna successivamente opposto, oppure il PM, nel modificare nel corso del giudizio l'imputazione originariamente contestata, avesse omesso di darne comunicazione all'imputato assente tramite notificazione del relativo verbale di udienza. 

Il caso fornisce alla Corte di Cassazione l'occasione per ribadire il proprio indirizzo secondo il quale "in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata o erronea individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa."

I giudici di legittimità hanno infatti osservato come nel caso di specie non si fosse assistito a una illegittima modifica del capo di imputazione da parte del GIP al momento dell'emissione del decreto di citazione a seguito di opposizione a decreto penale di condanna poiché fattualmente la descrizione della condotta addebitata all'imputato era sempre rimasta la medesima a prescindere dalle disposizioni di legge richiamate. 

 

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