Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
Con la pronuncia n. 30626 dello scorso 12 luglio in tema di responsabilità del medico dell'equipe chirurgica, la Cassazione ha cassato la sentenza di condanna inflitta ad un secondo operatore che evidenziava, in virtù del principio di affidamento, come la propria condotta non fosse riconducibile agli errori compiuti dal primario in quanto gli stessi, nell'immediatezza dell'intervento, non erano percepibili ed emendabili.
La Corte ha difatti precisato che "il riconoscimento della responsabilità per l'eventuale errore commesso dal primario non è illimitato e richiede la verifica del ruolo effettivo svolto dal ricorrente, non essendo consentito ritenere aprioristicamente una responsabilità di gruppo e ciò tanto più alla luce delle argomentazioni difensive svolte dal secondo operatore" .
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di tre medici del reparto di chirurgia dell'Ospedale Policlinico di Monza – con gli incarichi rispettivamente di primario, aiuto anziano e aiuto giovane o primo operatore – ritenuti responsabili del reato di omicidio colposo in danno di una paziente.
La donna, dopo esser stata sottoposta a un intervento di colecistectomia laparoscopica senza che le fossero effettuati i necessari controlli pre-operatori, era costretta a subire altri interventi, erroneamente eseguiti su tessuti già perforati; i sanitari, sottovalutando le condizioni cliniche di peritonite settica che avevano portato al progressivo peggioramento delle condizioni fisiche della paziente, compivano solo tardivamente i necessari interventi salvavita, allorquando la morte era ormai inevitabile.
Il Tribunale di Monza riteneva fondati gli addebiti mossi dalla pubblica accusa limitatamente agli ultimi interventi, eseguiti con grave imperizia e inadeguati ad arrestare il patologico processo peritonitico che si era innescato.
Alla luce di tanto, venivano condannati il primario, per aver gestito in prima persona la situazione della paziente a partire dal manifestarsi della prima complicanza sino all'esecuzione dell'ultimo intervento, e l'aiuto anziano, per aver partecipato ad ogni intervento, condividendo tutte le scelte decisionali del primario; diversamente l'aiuto giovane veniva assolto, in quanto aveva ricoperto il ruolo assolutamente marginale di terzo operatore.
La Corte di Appello di Milano confermava gli addebiti di responsabilità, evidenziando come la pronuncia assolutoria formulata dal giudice di primo grado nei confronti del terzo operatore, in ragione del suo ruolo marginale, non faceva che rafforzare la responsabilità non solo del primario, ma anche dell'aiuto anziano.
Quest'ultimo, ricorrendo in Cassazione, si doleva per non aver la sentenza impugnata chiarito quale fosse stato il nesso causale tra la condotta posta in essere e il decesso della paziente, non essendo emersa alcuna prova di una sua condotta atta a cagionare il trauma epatico.
In seconda istanza, rimarcava come le conseguenze pregiudizievoli verificatesi dovevano essere addebitate solo al primario, avendo lo stesso riservato a sé sia le scelte operatorie che l'esecuzione materiale degli interventi; da ultimo evidenziava come gli errori compiuti manualmente dal primo operatore, nell'immediatezza dell'intervento, non erano percepibili ed emendabili.
La Cassazione condivide le censure formulate dall'imputato circa il ruolo da lui effettivamente svolto nell'ambito dell'equipe medica.
Secondo gli Ermellini, infatti, la sentenza impugnata non ha verificato la sussistenza del nesso causale tra la violazione delle regole cautelari che si assumono inosservate dal ricorrente e l'evento: tale verifica, di contro, deve essere particolarmente attenta nella ipotesi di lavoro in equipe, allorquando, alla cura del paziente concorrono, con interventi non necessariamente omologabili, sanitari diversi, magari ciascuno con uno specifico compito.
In siffatti casi, infatti, occorre contemperare il principio di affidamento con l'obbligo di garanzia che ciascun sanitario dell'equipe assume verso il paziente.
Su tale specifico aspetto, la giurisprudenza ha chiarito che l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta ed al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare una responsabilità di gruppo in base ad un ragionamento aprioristico; oltre a tale accertamento, occorre valutare la rimproverabilità della condotta posta in essere sul piano della colpa.
Proprio in relazione al profilo della colpa, la Cassazione precisa che il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti: in tal caso, infatti, trova applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.
Da tali principi ne deriva, con specifico riferimento al caso di specie, che il riconoscimento della responsabilità per l'eventuale errore commesso dal primario non è illimitato e richiede la verifica del ruolo effettivo svolto dal ricorrente, non essendo consentito ritenere aprioristicamente una responsabilità di gruppo e ciò tanto più alla luce delle argomentazioni difensive che il ricorrente ha evidenziato nel proprio ricorso, laddove ha dimostrato che gli errori compiuti manualmente dal primo operatore, nell'immediatezza dell'intervento, non erano percepibili ed emendabili..
In conclusione, il ricorso viene accolto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio.
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.
Il mio nome è Rosalia Ruggieri, sono una persona sensibile e generosa, sempre pronta ad aiutare chi ne ha bisogno: entro subito in empatia con gli altri, per indole sono portata più ad ascoltare che a parlare, riservatezza e discrezione sono aspetti caratteristici del mio carattere. Molto caparbia e determinata, miro alla perfezione in tutto quello che faccio.
Adoro il mare, fare lunghe passeggiate all'aria aperta, trascorrere il tempo libero con la mia famiglia. Sono donatrice di sangue e socia volontaria di una associazione che tutela i cittadini; credo e combatto per la legalità.
Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.